Una serie di riflessioni per tracciare traiettorie e connessioni attorno alle emozioni e ai sentimenti più ricercati o, come in questo periodo, dimenticati, nella vita di ognuno di noi.
E di tutti noi.
Un ciclo di talk sul tema della gioia, della ricerca della gioia, per accompagnare incontri e momenti di riflessione nelle comunità e nei gruppi, aprendo nuove piste per ritrovare quell’unità che è anche la base dell’Europa dei popoli.
Era il 19 marzo 2019 quando il progetto Una Nuova Primavera Europea, a sorpresa, esplodeva con tutta la sua gioia. Sì, un momento gioioso nell’intento e nei fatti, che in pochi minuti ha animato e colorato piazza del Duomo a Milano.
Succedeva meno di due anni fa, eppure sembra un’altra epoca.
Le immagini raccontano di un migliaio di adolescenti chiassosi e dirompenti che escono dalla Cattedrale e s’incanalano, insieme all’Arcivescovo Delpini e ai loro insegnanti sotto un’enorme bandiera dell’Europa.
Quell’Europa sognata dai padri fondatori come un’Unione di differenze e valori; quell’Europa che sa trovare nel dialogo il proprio spazio d’azione e diventare espressione di uno dei più grandi progetti politici della storia dell’umanità.
I tanti giovani sotto quella bandiera che simboleggia proprio quel progetto si soffermano a giocare, a rincorrersi, a condividere lo stesso cielo stellato… La cornice si mischia al quadro, innumerevoli passanti si accodano sotto la bandiera, si scatenano i selfie, una coppia di sposi asiatici si fa fotografare davanti alla bandiera e agli studenti.
Allo sbocco del corridoio creato dalla bandiera, un’orchestra di fiati fa echeggiare forte l’Inno alla Gioia di Friedrich Schiller, come sappiamo, Inno dell’Unione Europea.
Ma oltre che Inno istituzionale è anche sigla di una giornata dove, proprio la gioia, la fa da padrona.
Gioia per trovarsi in mezzo a tanta gente, quella di poter giocare come bambini sotto un telo blu stellato e tanti palloncini, gioia per la primavera che è alle porte e anche quella per aver saltato un giorno di scuola, perché no?!
Piccoli momenti gioia quotidiana che oggi rappresentano qualcosa di ancor più straordinario in questa normalità sospesa causata dalla pandemia.
La bandiera e l’Inno volevano simbolicamente richiamare l’attenzione a sentirsi parte di qualcosa di grande, di ambizioso, di unità nelle differenze.
Oggi abbiamo perso molto di quella gioia esplosa in una manciata di minuti durante il flash-mob, abbiamo smarrito la traccia dei tanti eventi di riflessione promossi grazie al progetto nei giorni e mesi successivi… Eppure, ci sentiamo forse più uniti di prima. Uniti, però, nella difficoltà, in una condizione emergenziale.
Con difficoltà intravediamo il futuro e con fatica, chiusi tra i muri delle nostre case o nei perimetri delle nostre regioni, poco ricordiamo di quel progetto ambizioso e unitario che è l’Europa dei popoli, un’unione fatta di persone che gioiscono dell’essere le membra di un unico corpo comune.
Ecco il perché di questo nuovo percorso, della proposta di ripartire proprio dalla gioia.
Ma si può ancora parlare di gioia in un tempo dominato dalla paura per il diffondersi di una pandemia e dall’ansia per le tragiche conseguenze economiche e sociali che essa sta generando?
Presi da pessimismo, rabbia e risentimento, in questo momento riusciamo con difficoltà a pensare di rivolgere attenzione a un sentimento come quello della gioia. Eppure, la gioia è una condizione di liberazione, la cui ricerca forse passa proprio attraverso la prova, la fatica, la sofferenza. E se la gioia è liberazione, la ricerca di essa è necessariamente movimento, energia e slancio di vita. Ma la gioia che intendiamo non è solo allegria o contentezza, non è un fatto estetico o esteriore, ma un riso interiore, un bisogno primario che appartiene alla nostra dimensione più profonda e che richiede un’immersione completa nell’esperienza umana e nel rapporto con il divino.
Dio ride, forse. E se ride certamente non ride “di noi” ma “con noi” e “per noi”. Il riso di Dio è un atto di amore, di compassione e, quando necessario, di protezione e di conforto, è il segno evidente del suo desiderio di bene verso l’intera umanità, come più volte ricordato da Papa Francesco. L’invito alla gioia, come esperienza del volgere lo sguardo verso Dio e di riconoscerne il volto sorridente, è infatti al centro del suo magistero.
Il richiamo alla gioia, all’esultanza, alla letizia, a non privarsi di un giorno felice, è in molte occasioni presente anche nei testi sacri. E non è rivolto solo ai credenti: ha carattere universale e riguarda tutti coloro che cercano conforto nell’amore e sperimentano ogni giorno sentimenti di fraternità e amicizia sociale.
Con le parole di Papa Francesco però abbiamo ancora fatto qualche passo avanti: nei suoi discorsi e nei suoi scritti troviamo un grande utilizzo dell’umorismo, fino al punto di poterlo ritenere una forma di intelligenza, di sapienza, forse di saggezza che, praticata con gentilezza, può avere i tratti della missionarietà.
“Un missionario che, pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri, che si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri.” [Evangelii Gaudium 272]
E’ un messaggio che invita comprendere e accogliere il riso (e l’umorismo che lo genera) come manifestazione umana di vicinanza, indulgenza e compassione, e a capovolgere la prospettiva che spesso (e per lungo tempo) abbiamo adottato. Da manifestazione diabolica, ghigno malefico e segno di stoltezza, il riso diventa espressione di comprensione paterna, conforto materno e riconoscimento di fratellanza, diventa atto buono e giusto non solo dell’Homo, ma addirittura di un Deus Ridens.
Il paradosso della pandemia è che da una parte ci ha messi di fronte all’evidenza di essere tutti una sola umanità, dall’altra ci ha costretti a doverci prendere cura gli uni degli altri soprattutto attraverso il mantenimento delle distanze e l’isolamento, obbligandoci a trasformare i muri delle nostre case e i perimetri delle nostre città in confini.Eppure questa “tempesta” ci ha rivelato, ancora una volta, che siamo tutti un po’ più uguali, pur nelle nostre differenze, e tutti un po’ più fragili.
Sempre Papa Francesco ci ricorda nell’ultima Enciclica, Fratelli tutti, che in questo tempo si respira un’atmosfera in cui «la distanza fra l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa sembra allargarsi: sino a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma. […] Perché una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme». “Come sarebbe bello se – scrive ancora il Papa – mentre scopriamo nuovi e lontani pianeti, riscoprissimo anche i bisogni del fratello e della sorella che ci orbitano attorno!”
Ma come fare a riconoscersi umanità e sperimentare la gioia della fraternità se guardiamo gli altri come possibili untori?
A volte per consolarci, altre volte per non pensarci, altre ancora per poter immaginare tempi migliori, pensiamo: “quando tutto questo sarà finito, potremo tornare a…”. Ma siamo certi di voler tronare a essere ciò che eravamo? Davvero non pensiamo ci sia spazio per il cambiamento, per immaginarci “dopo” differenti da ciò che siamo stati “prima”? Possiamo rileggere con umorismo sapiente e con saggia ironia il nostro passato e il nostro presente, e provare a immaginare tutte le possibilità che ci offre il domani?
Per molto tempo abbiamo vissuto nell’illusione di poter restare sani in un mondo malato. Ma la tempesta che stiamo attraversando ci ha fatto riscoprire l’importanza e l’urgenza di cercare nuove sicurezze e nuovi approdi, anche accettando le nostre debolezze e i nostri errori, senza timore di sbagliare, di cadere, e liberi di ripensare con coraggio a un modo nuovo di esistere e di vivere in modo integrale la gioia, accogliendola come esperienza di crescita, in piena sintonia con chi ci circonda e con l’intero Creato di cui siamo parte.
In uno dei Salmi si dice:
Gioiscano i cieli ed esulti la terra;
risuoni il mare e quanto contiene;
esultino i campi e quanto è in essi;
tutti gli alberi delle foreste emettano gridi di gioia […]
Leggendo queste parole abbiamo la certezza che tutta la creazione sia invitata a partecipare al «cantico nuovo» del popolo di Dio. Avremo anche noi la forza di unirci a questa lode? E per farlo, quale “vaccino spirituale” usare oggi per guardare con fiducia al domani? In questa rotta incerta, può l’umorismo far parte del “kit di sopravvivenza” necessario per superare i momenti più difficili e, insieme, una bussola per navigare in acque così agitate?
Ecco il perché dei nostri talk sulla gioia, un ciclo di interviste che diventeranno a loro volta stimolo per il dibattito in gruppi informali, classi scolastiche e altre realtà organizzate.
Una serie di spunti che si muoveranno intorno a quattro grandi domande.
Le risposte, offerte da persone con diverse esperienze e sensibilità, diventeranno a loro volta nuovi quesiti, nuove tracce per un cammino che guarda all’unità come una via da percorrere e alla gioia come la condizione da cercare e ritrovare!
“Ritrovare la Gioia – Il Volto Sorridente di Dio”
LE DOMANDE
- Dobbiamo considerare inappropriato, irrispettoso, insensibile parlare di gioia oggi, mentre l’intera umanità sta attraversando una fase di grande sofferenza?
- Dio ride?
- Il tutto è superiore alla parte… ma quando l’isolamento delle «parti» è necessario per la sopravvivenza (come nella situazione attuale), come e dove ritrovare un sentimento e un’azione comune?
- Occorre una certa dose di umorismo per continuare a sperare nel futuro?