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“Verso l’implosione”. Della Chiesa di Francia e non solo

“Verso l’implosione”. Della Chiesa di Francia e non solo

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Dialogo tra Franco Garelli e Danièle Hervieu-Léger prima parte

Nei giorni scorsi Molte Fedi sotto lo stesso cielo ha ospitato un dialogo online tra Franco Garelli e Danièle Hervieu-Léger
Questa è la trascrizione della prima parte della serata. La offriamo a noi lettori come un contributo, serio e in alcuni passaggi molto provocatorio, per ragionare su come stare da credenti nel nostro tempo. 
  

Per cominciare, vorrei domandare a Danièle perché questo titolo, “Verso l’implosione?”, in una Francia dove – malgrado il peso delle statistiche – si osserva come dici tu una certa vitalità del cattolicesimo di base, come è apparso (per esempio) nel periodo della pandemia.

Ho scelto questo titolo con Jean-Louis Schlegel perché vorremmo mettere l’accento sulla situazione di decomposizione interna dell’istituzione stessa. È da tanto tempo che sociologi e storici studiano l’erosione della presenza del cattolicesimo nella società francese, ma l’idea centrale in quest’opera è che l’affondamento viene anche dall’interno, perché la Chiesa è sempre meno capace di rispondere all’evoluzione del mondo che la circonda. In effetti, l’ipotesi che sostengo in questo libro è che la Chiesa sia contaminata da un sistema “romano”, da un sistema clericale che ha messo in atto a partire dal Concilio di Trento per affrontare la minaccia dello scisma e poi sino al XIX secolo per contrastare gli effetti della modernità politica e riassicurarsi il proprio potere nella società.  Un  sistema difensivo, che io chiamo sistema romano e che è stato elaborato per affrontare le minacce esterne, è diventato il veleno della Chiesa. Una vera e propria palla al piede ed è questo sistema che oggi la minaccia di più.

Uno degli aspetti che mi ha colpito di più nel leggere il tuo testo è il carattere «infiammabile» del cattolicesimo francese, che si manifesta – ancora oggi – attraverso dei confronti interni «virulenti»; dei conflitti non solo politici, ma anche teologici e pastorali; delle «correnti inconciliabili»; una «propensione francese per l’isterizzazione dei dibattiti religiosi». Le differenti anime del cattolicesimo non hanno veramente nulla in comune? E tutto questo accade – per usare le tue parole – «con l’impotenza dell’istituzione stessa di stabilire una cornice e un percorso condivisibili da tutti i fedeli per dare contenuto all’ideale di unità di cui si avvale la Chiesa».

Questo carattere infiammabile del cattolicesimo francese e più generalmente della scena religiosa francese, viene da una lunga storia. Nel nostro immaginario nazionale la religione è associata strutturalmente alla violenza, e questo in effetti, per me, ha un punto di partenza nelle guerre di religione del XVI secolo. Sono queste guerre di religione che hanno veramente associato, e in un modo così stretto, religione e violenza in Francia. Tutta la storia del cattolicesimo in Francia è scandita da conflitti estremamente violenti, che hanno coinvolto nello stesso tempo una dimensione propriamente religiosa e teologica e una dimensione politica.

Ciò non risale alla Rivoluzione francese, né alla costituzione civile del clero, né allo scontro del XIX-inizio XX secolo, tra la Chiesa e la Repubblica. Viene innanzitutto e davanti a tutto da questa violenza religiosa entrata all’interno della sfera religiosa e in particolare nella sfera cattolica, che abbiamo visto nel XVII secolo, per esempio, nella repressione del giansenismo, nella rievocazione dell’Editto di Nantes, in una serie di situazioni cruciali in cui la nazione si è fratturata in due, e noi portiamo ancora questa eredità di conflittualità.

Allora non vuol dire che la violenza dei conflitti ideologici, teologici, politici nel cattolicesimo francese significhi automaticamente che queste correnti cattoliche opposte non abbiano nulla da dirsi – bisogna sapere che con il nostro miglior nemico si hanno giustamente delle cose da condividere, ed è questo che rende la situazione complicata – ma è vero che i conflitti che oggi attraversano il cattolicesimo sono estremamente violenti.

Un’altra domanda su una questione centrale del testo: tu riprendi e rafforzi la tua tesi sull’esculturazione, cioè sull’uscita o l’allontanamento o l’espulsione del cattolicesimo dalla cultura comune. Nella tua analisi sorge una domanda intrigante: è la cultura che espelle il cattolicesimo o è quest’ultimo che viene espulso per sua colpa?

Rispondo innanzitutto ritornando sulla nozione dell’esculturazione. In effetti ciò che bisogna pensare è che la matrice culturale del cattolicesimo in Francia, la maniera con cui il cattolicesimo è durato così a lungo, modellando la cultura sia sociale che politica e non solamente religiosa in Francia, è sopravvissuta implicitamente ma molto fortemente alla laicizzazione delle istituzioni acquisita con la modernità politica e anche, abbastanza lungamente, sino agli anni ‘70, alla secolarizzazione della mentalità.

Questa matrice culturale, bisogna comprenderlo, è particolarmente visibile nella maniera in cui in Francia si pensano le istituzioni civili e le istituzioni politiche: non si capisce nulla in rapporto alla società francese, all’università, alla scuola, allo Stato stesso, all’ospedale etc, se non comprendiamo a quale punto questa matrice cattolica ha modellato il nostro rapporto con tutto il nostro paesaggio istituzionale.

Faccio solo un esempio: un filosofo e uomo politico del XIX secolo parlava dello Stato dal punto di vista completamente laico, dicendo che lo Stato deve essere morale e insegnante. È la replica di “Mater et Magistra” e quindi c’è questa compenetrazione tra la cultura politica e istituzionale e la Chiesa. Ora, a partire dagli anni ‘70, è questa matrice culturale che si disfa, ovvero non è più possibile oggi dire – come J. Paul Sartre diceva ancora negli anni ‘50 – «in Francia siamo tutti cattolici»: sappiamo bene che da lungo tempo i francesi non sono tutti cattolici, ma potevamo ancora dire che il cattolicesimo parlava un po’ a tutti. 

Oggi è finito. Il cattolicesimo è una minoranza religiosa tra le altre, in una società che perde sempre di più il tappeto culturale modellato dal cattolicesimo che – oso dire – si ritira da sotto i piedi dell’istituzione e in cui la matrice culturale cattolica oggi parla “a sprazzi”. Restano delle tracce, non è completamente sparita, ma nello stesso tempo è sommersa dalla cultura dell’individuo e della realizzazione di se stesso. In tutto ciò le responsabilità, le cause di questo fenomeno, sono da entrambe le parti: sia dalla parte della società che dalla parte della Chiesa, che è  assolutamente incapace di reagire a questo processo.

Ancora su questo tema, tu dici che l’esculturazione è un processo molto graduale, perché il cattolicesimo ha plasmato profondamente il nostro mondo culturale. Che cosa resta allora del cattolicesimo esculturato?

È ciò che dicevo poco fa: ne restano delle tracce, ne restano dei pezzi che risorgono regolarmente ad esempio nel dibattito sulla scuola, nei dibattiti sulla concezione del bene pubblico, nei dibattiti sulla dimensione morale del politico… Ci sono ancora tanti tipi di tracce, ma la coerenza di questa matrice è esplosa fortemente a partire dal tornante culturale del XX secolo con un’affermazione sempre più chiara dell’autonomia degli individui, non solamente nell’ordine politico ma nell’ordine della loro vita personale e intima.

Alla base dell’esculturazione c’è la distanza della Chiesa e del cattolicesimo dalla “modernità psicologica”. È una categoria molto interessante questa.  Puoi illustrarci questo importantissimo punto?

La questione dell’autonomia e del conflitto, il problema che l’affermazione moderna dell’autonomia pone alla Chiesa – semplicemente perché l’affermazione dell’autonomia del soggetto si pone in contraddizione con la pretesa della Chiesa di detenere il monopolio della verità – questo conflitto storico, strutturale proprio della Francia, tra la modernità e la Chiesa Romana evidentemente è approcciato perlopiù attraverso la questione dell’autonomia del soggetto cittadino.

Da quel punto di vista, la Rivoluzione francese fu un ribaltamento totale. Che cosa fa la Rivoluzione francese? Afferma che il soggetto cittadino è autonomo ed è capace, con altri soggetti cittadini, di produrre il senso della storia che vogliono condurre collettivamente. E questa è una rottura culturale e politica evidentemente maggiore: la Chiesa farà di tutto per tentare di combattere questa autonomia. Il XIX secolo, il confronto, la guerra delle due France, il confronto tra la repubblica e la Chiesa nel XIX secolo è veramente il dibattito intorno all’autonomia del soggetto cittadino. 

La legge non cade dal cielo, la legge sorge dal corpo cittadino. Allora questa centralità dell’autonomia politica è fondamentale, ma quello che avviene – un nuovo ribaltamento, una svolta degli anni 1970 – è l’avvenimento che Jean Baudrillard ha chiamato la modernità psicologicaovvero non più l’autonomia del soggetto cittadino ma anche l’autonomia del soggetto privato, del soggetto che interviene nella sfera nella quale la Chiesa post rivoluzionaria ha dovuto ripiegare il suo spazio d’influenza.

Dunque, è il tempo dell’autonomia del soggetto nella sua vita familiare, coniugale, intima: è l’avvento del soggetto degli affetti. E la Chiesa, che era stata straordinariamente destabilizzata dall’avvento del soggetto politico, era riuscita ad adattarsi alla situazione ripiegando il suo lavoro di influenza sulla sfera familiare. Ed è a partire dal XIX secolo che la Chiesa ha una vera ossessione intorno al tema della sessualità, della coniugalità, con lo sviluppo familiare estremo; ebbene, quella situazione è completamente percossa dall’avvento del soggetto degli affetti che dice “sono io il padrone della mia vita personale, della mia vita intima, delle mie scelte amorose, e nessuna istanza può intaccare questa autonomia”.

 

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