Un anno ricordando don Milani. Intervista a Rosy Bindi
[di Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Un anno intensissimo di iniziative, dibattiti, convegni che hanno coinvolto migliaia di persone in ogni parte del Paese. Cosi è stato ricordato don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita avvenuta a Firenze il 27 maggio del 1923. A coordinare con sapienza il Comitato nazionale del centenario, posto sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica, e’ stata Rosy Bindi che sin dall’inizio ha voluto chiarire gli obiettivi di questa memoria attiva del Priore di Barbiana: “riconsegnare all’Italia un grande italiano, riconsegnare un grande credente all’intera comunità ecclesiale“
Sta finendo l’anno del centenario della nascita di don Lorenzo. Come è andato e quali bilancio senti di trarre?
Il bilancio è senz’altro positivo. Il Comitato nazionale ha cercato di fare di questo Centenario un’occasione per liberare don Milani da giudizi che ne hanno appiattito la figura su interpretazioni parziali e di comodo e credo che siamo riusciti nel nostro intento. Abbiamo fatto una scelta militante: affidarci alla sua parola e ai suoi scritti, nella convinzione che sia ancora capace di scomodare le nostre coscienze, così come fu scomodo per i suoi contemporanei.
Ci siamo immersi nel suo tempo per capire le questioni che più gli stavano a cuore e ricostruire il contesto ecclesiale, politico, culturale, economico in cui maturano le sue scelte, senza però restare prigionieri del suo tempo. E abbiamo incontrato un gigante della fede e un interprete, troppo a lungo incompreso, delle aspirazioni più profonde del suo tempo.
È stato un itinerario di riscoperta Intensamente partecipato, ricco di contributi di grande spessore, scandito da incontri davvero fecondi in tutta italia. Siamo stati un moltiplicatore di iniziative promosse da una pluralità di soggetti istituzionali. Abbiamo contribuito ad alimentare l’attenzione e il confronto da parte di associazioni, amministrazioni locali, scuole e Università.
Nel corso del centenario abbiamo avuto anche importanti pubblicazioni e mi permetto di segnalare la ristampa della fondamentale biografia di Neera Fallaci, pubblicata nel ‘74 con il titolo “Dalla parte dell’ultimo, vita del prete don Lorenzo Milani”. Un testo davvero prezioso per chi volesse avvicinare un testimone tra i più significativi del nostro Novecento.
Quali sono stati i momenti più significativi?
È difficile fare una selezione. Siamo tutti molto grati al presidente della Repubblica che con la sua partecipazione alla cerimonia di apertura a Barbiana, il 27 maggio scorso, ha reso omaggio a “un grande italiano che con la sua lezione ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva”. Le parole impegnative del Capo dello stato sono state il riconoscimento lungamente atteso a un cittadino e prete esemplare morto sotto processo per aver difeso il primato della coscienza.
E non è stato un caso se l’ultimo convegno nazionale si è svolto alla Camera dei deputati, il 22 aprile scorso con la partecipazione di Giuliano Amato, Margherita Cassano e don Ciotti. Nella casa della nostra democrazia, dove si esercita la rappresentanza popolare e dove è stata scritta e approvata la nostra Costituzione, così cara a don Lorenzo.
Altrettanta gratitudine va al Santo Padre che, il 22 gennaio 2024, ha ricevuto in Vaticano tutto il comitato nazionale e ha offerto una riflessione davvero significativa. Papa Francesco ci ha ricordato che l’incontro con Gesù Cristo “è il cuore di tutta l’esperienza umana e spirituale di don Milani che lo fa credente, prete innamorato della Chiesa, fedele servitore del Vangelo dei poveri”.
Vangelo e Costituzione, assi portati portante del magistero del Priore, hanno scandito i convegni più significativi di questo Centenario.
Penso alle giornate organizzate a Firenze con la Diocesi sul rapporto tra don Milani e la chiesa del suo tempo in cui sono emerse la sintonia profonda con l’attesa conciliare di rinnovamento spirituale della comunità raccolta intorno a mons. Dalla Costa e Giorgio La Pira, ma anche le incomprensioni e i richiami all’ordine delle gerarchie vaticane.
Mentre sul versante più civile e sociale, non posso non ricordare l’appuntamento a Bergamo, dove insieme alle Acli e ai sindacati confederali Cgil Cisl e Uil abbiamo esplorato le nuove forme di diseguaglianza, l’aumento della precarietà, il declino della sanità pubblica alla luce del magistero milianiano sulla giustizia sociale e la centralità del lavoro.
O gli incontri promossi con i sindacati della scuola a Catania e Roma che ci hanno restituito tutte le difficoltà di un settore cruciale per la crescita del paese ma che non riesce a rispettare pienamente il dettato costituzionale. La scuola, se si guarda ai dati sulla dispersione scolastica, non è più strumento di uguaglianza e di inclusione bensì di esclusione. Esclusione classista, direbbe don Lorenzo, perché colpisce sopratutto i ragazzi di famiglie povere e i figli di immigrati, il mezzogiorno più del settentrione.
Infine, molto suggestive sono state anche le giornate dedicate alla politica, a Firenze e Lucca, e alla Costituzione a Montesole, nella comunità fondata da don Giuseppe Dossetti. In queste occasioni, tutte arricchite dalle riflessioni di Romano Prodi, Tommaso Montanari, e dai costituzionalisti Emanuele Rossi, Ugo De Siervo e Silvana Sciarra, dallo storico Alberto Melloni, abbiamo registrato la straordinaria attualità e laicità del pensiero di don Lorenzo su giustizia sociale e legalità, sulla pace e il valore della democrazia.
Basti pensare a cosa dice della Costituzione, approvata due mesi dopo la sua ordinazione: “non è una legge qualsiasi. È quella che il Cristo attendeva da noi da secoli, perché è l’unica che ridia al povero un volto quasi d’uomo”.
Tra le molte sottolineature del profilo di don Lorenzo emerse in questo centenario, qual è quella che ti ha colpito maggiormente?
L’inquietudine. Era davvero, come ha ricordato Papa Francesco, un uomo inquieto e inquietante. Con il suo desiderio di giustizia, così profondo ed esigente, non dava tregua né a se stesso né agli altri. Da qui il tormento per la lentezza con cui la sua chiesa si faceva sorella dei poveri o peggio si mostrava al fianco dei forti e dei potenti. Da qui l’indignazione per le omissioni e i ritardi con cui la Costituzione non veniva attuata. Ritardi in primo luogo della politica che non faceva la sua parte per rimuovere gli ostacoli che frenano la piena realizzazione della persona umana.
A me pare che dovremo fare nostra questa inquietudine e non lasciarci contagiare dalla pigrizia che facilmente induce a delegare ad altri la partecipazione civica, l’impegno verso la comunità e la cura dei beni comuni.
Dovremmo farla nostra anche per verificare quanto ancora resta da attuare della Costituzione del ‘48 e per contrastare i tentativi, già in atto, di stravolgerla.
Molti di questi appuntamenti hanno avuto una partecipazione folta, anche di giovani. Come spieghi questo?
La verità della sua testimonianza. Don Lorenzo appare credibile, anche chi non condivide le sue posizioni riconosce la coerenza di un uomo che ha pagato di persona, anche duramente, la scelta radicale e spesso controcorrente di stare dalla parte dei più deboli, di chi veniva umiliato dal potere o dimenticato dalla politica. E poi Milani insegnava a pensare con la propria testa, a esercitare il diritto di critica, a rifiutare l’obbedienza cieca, l’omologazione alle mode, il consumismo individualistico.
Era una lezione carica di fiducia nei ragazzi e nelle ragazze, a loro affidava un impegno esigente che vale anche oggi: sentirsi responsabili di tutto e lavorare per rendere migliore il mondo in cui viviamo. Invitare i giovani a impegnarsi per la pace, la libertà, l’uguaglianza significa farli sentire cittadini sovrani, come voleva il priore, protagonisti del futuro. E’ così che si alimenta la fiducia e la speranza nelle possibilità di cambiamento che sta a cuore a tanti giovani.
Dove rintracci l’attualità del Priore? Perchè don Lorenzo è davvero “l’uomo del futuro”?
Aveva una straordinaria capacità di leggere e interpretare il proprio tempo. E come i profeti, incompreso o sbeffeggiato dai suoi contemporanei, ha indicato le contraddizioni che andavano sanate e le linee di frattura da ricucire. Non ha vissuto abbastanza per vedere come negli anni Settanta le grandi riforme di tutela della dignità dei lavoratori, sul valore della scuola e della sanità pubbliche, sul nuovo diritto di famiglia hanno risposto alle sue domande di giustizia.
Purtroppo rispetto a quella stagione assistiamo ad un grave arretramento nella tenuta dei diritti fondamentali. Ma lo sguardo di don Lorenzo è ancora in grado di indicarci le priorità dei nuovo millennio: la pace e il rifiuto della guerra, che devasta popolazioni inermi e incrementa solo profitti e potere dell’industria bellica; l’accoglienza degli immigrati e lo sviluppo di politiche di integrazione, il futuro è multietnico e multiculturale ed è già in casa nostra; la promozione del lavoro, valore su cui si fonda la Repubblica, e che va equamente retribuito e reso sicuro per tutte e tutti; il rafforzamento della scuola e della sanità pubbliche; la difesa dell’ambiente e la tutela del creato.
Alla Chiesa di oggi, incerta sui passi di papa Francesco, cosa credi possa suggerire la vicenda di don Lorenzo?
Alla sua chiesa don Lorenzo chiedeva di essere coerente e credibile nell’amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Anche noi come cristiani siamo chiamati alla stessa coerenza in un mondo che appare sempre più iniquo, in cui cresce il divario tra chi banchetta con ricco Epulone e chi è costretto sotto la tavola a raccogliere solamente le briciole.
La coerenza deve mostrarsi in una prassi di condivisione e di comunione ecclesiale, di partecipazione comunitaria. Come ha ricordato Papa Francesco, “Il motto “I Care” non è un generico “mi importa”, ma un accorato “m’importa di voi”, una dichiarazione esplicita d’amore per la sua piccola comunità; e nello stesso tempo è il messaggio che ha consegnato ai suoi scolari, e che diventa un insegnamento universale. Ci invita a non rimanere indifferenti, a interpretare la realtà, a identificare i nuovi poveri e le nuove povertà; ci invita anche ad avvicinarci a tutti gli esclusi e prenderli a cuore. Ogni cristiano dovrebbe fare in questo la sua parte.