Taizé. I giovani e la fede
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Diverse migliaia di giovani si sono riuniti a Rostock, in Germania.
Colloquio con frère Alois, priore.
I giovani, la preghiera, la fede
Diverse migliaia di giovani, nei giorni scorsi, sono convenuti da quarantanove Paesi a Rostock, una città del nord della Germania, fino al 1990 appartenente alla DDR, per l’incontro di fine anno promosso dalla comunità ecumenica di Taizé.
E’ la quarantacinquesima volta che una città europea ospita il “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”: la prima volta fu Parigi (1978), poi Barcellona e, nel 1980, a Roma. Con la caduta del Muro di Berlino gli incontri toccarono anche i paesi dell’Est e le presenze crebbero oltre ogni previsione (in diversi casi, oltre le centomila), rendendo evidente i legami che la comunità fin dagli inizi degli anni Sessanta aveva intessuto con le Chiese di quell’orizzonte geografico e politico, suscitando un vero “vivaio di leader del post-comunismo” che si formarono spiritualmente anche alla sua scuola. Al punto che Marguerite Léna, filosofa di valore e allieva di Paul Ricœur, sintetizzò lucidamente gli esiti di questo percorso sulla rivista Etudes: “… la storia giudicherà forse che l’Europa non s’è costruita solo a Roma, Strasburgo o Bruxelles, ma anche in quel minuscolo villaggio della Borgogna dove la gioventù europea dell’Est e dell’Ovest, e anche degli altri continenti, non si stanca di andare”.
Come è iniziato tutto questo?
“Quando ero giovane, mi stupivo nel vedere dei cristiani che, pur facendo riferimento a un Dio d’amore, sprecavano tante energie nel tentativo di giustificare le loro opposizioni. E mi dicevo: per comunicare il Cristo, esiste forse una realtà più trasparente di una vita donata, nella quale, giorno dopo giorno, si concretizza la riconciliazione?”
Così mi disse un giorno frère Roger Schutz quando salii, un po’ di anni fa, sulla collina in Borgogna per una lunga intervista. Quella vicenda, iniziata nel 1940, è diventata uno dei capitoli più significativi della storia del Novecento religioso europeo. Qualcosa di assolutamente singolare e inedito che ha lasciato il segno nella vita di decine di migliaia di giovani di tutti i continenti.
“Communauté de Cluny”, così si chiamava all’inizio: una comunità monastica maschile, la prima in campo riformato, che nel corso degli anni ha maturato e consolidato la sua vocazione ecumenica rendendo visibile due grandi aspirazioni: camminare nella vita interiore attraverso la preghiera personale e la bellezza della preghiera comune e assumere delle responsabilità per rendere la terra più abitabile. Una storia certo legata al carisma, unico, del suo fondatore, Roger Schutz, pastore della Chiesa Riformata, “una personalità fuori dal comune, che attrae senza volerlo” (disse di lui Olivier Clément), che ha saputo radunare attorno a sé, sin dagli inizi, in un progetto di vita comunitaria, un gruppo di giovani desiderosi di essere “una parabola della comunità fraterna e dell’unità umana che non è possibile che in Cristo”.
L’eredità di frère Roger
“L’eredità di frère Roger è immensa ed è viva ogni giorno.” Così mi dice frère Alois che, dopo la morte tragica di frère Roger, avvenuta il 16 agosto del 2005, è il priore della comunità. “Di frère Roger vorrei ricordare due aspetti. Il primo riguarda l’ecumenismo: credo che non abbiamo finito di esplorare cosa significa dar vita ad una comunità che anticipa l’unità, che la vive in anticipo. Questo ci spinge a chiedere ai cristiani di osare mettersi sotto lo stesso tetto senza aspettare che tutte le domande che li separano siano risolte. Un’altra delle sue preoccupazioni era quella della pace, della condivisione, della solidarietà tra umani. Anche questa ci pare profondamente attuale. Con tutti i giovani che si salgono sulla nostra collina, ci viene data l’opportunità di realizzare, su piccola scala, il segno di una fraternità universale.”
Si passa a Taizé come si passa accanto ad una fonte
Qualche estate fa sono salito a Taizé con Renata, mia moglie e Benedetta, l’ultima nostra figlia adolescente insieme ad alcune coppie di amici con figli. Pochi giorni trascorsi sono bastati, anche per chi arrivava sulla collina la prima volta, per rendersi conto dello spessore spirituale di una realtà apparentemente leggera dal punto di vista della “struttura” e dell’organizzazione. Ero curioso di scoprire se questa vicenda spirituale, per me davvero importante, non fosse divenuta, nel tempo, consunta e logora.
Abbiamo trovato invece e di nuovo una comunità viva, uomini appassionati del Vangelo, non troppo preoccupati delle loro sorti, aperti a quella che chiamano la “dinamica del provvisorio”. Abbiamo incontrato giovani, da ogni parte del mondo, capaci di custodire, durante le tre liturgie quotidiane, un silenzio intenso, non artificiale.
Proprio durante le liturgie si coglie il valore di Taizé: un’esperienza spirituale profonda, capace di mettere al centro la contemplazione pasquale Gesù, che è riuscita a diventare anche un modo di celebrare, un modo di cantare, un modo di pregare, un modo di rappresentare. Aveva ragione Giovanni Paolo II, salito anche lui, nell’ottobre del 1986, a pregare e a incontrare la comunità: “Si passa a Taizé come si passa accanto a una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino.”
Taizé e i giovani
Chiedo a frère Alois : «I giovani hanno sempre risposto in modo generoso alla “chiamata” di Taizé. Dove sta a suo avviso la ragione di questa risposta?» “Ancora oggi, rimaniamo sorpresi nel vedere che da più di cinquant’anni, come un passaggio di generazione in generazione, i giovani vengono a Taizé. Siamo molto grati del fatto che continuino ad incrociare la loro strada con la nostra.
Ma prima di lanciare una “chiamata”, noi vogliamo prima ascoltarli! Certo. tra quanti salgono a Taizé, c’è una grande diversità. C’è chi crede profondamente, si impegna nella Chiesa e legge la propria vita alla luce del Vangelo. Ci sono altri che sono lontani dall’avere una fede esplicita, ma che cercano un significato nella loro vita. Tutti sono con noi, pregano con noi tre volte al giorno… Ciò dimostra che la ricerca di Dio oggi è espressa in lingue che sono spesso molto diverse. Se un giovane mi chiede “Posso cantare con gli altri se non sono credente?” è per me il segno che c’è una sete, un’aspettativa, che posso discernere, valorizzare, affidare a Dio.»
Ma dal vostro osservatorio particolare è possibile comprendere quale “sete” custodiscono i giovani di oggi? “A causa della grande diversità che ho appena detto, è difficile trarre conclusioni generali sulla gioventù di oggi. Ma penso di poter dire che molti di loro hanno fame di autenticità. Capiscono immediatamente se le parole sono tradotte in azioni concrete o restano solo parole. Di fronte all’emergenza climatica, ad esempio, sono pronti a impegnarsi, ma vogliono anche un cambiamento reale nelle pratiche e negli stili di vita. C’è un bellissimo appello per la Chiesa! Anche se non tutti lo descrivono con il vocabolario della fede, molti giovani hanno sete di un’esperienza di amicizia, di comunione.
Per noi fratelli, questa comunione è radicata nella preghiera: e speriamo che i pellegrini e i visitatori possano a loro volta entrare in questa esperienza di amicizia con Cristo.» Quello che è certo, dico a frere Alois, è che le chiese, in occidente, sono vuote di giovani. “Sì, hai ragione. I motivi sono tanti. Mi sembra però che ciò non significhi che Cristo non parla più ai giovani di oggi ! Piuttosto questo dovrebbe prima di tutto incoraggiarci su come sia possibile mostrare la novità radicale del Vangelo oggi. Ho partecipato al Sinodo che si è interrogato proprio su questo. Una delle conclusioni principali che ho tratto da quella esperienza è che è essenziale pensare al ministero della gioventù… con i giovani, al fine di evitare il rischio di avanzare proposte “dall’alto”, disconnesse da la realtà vissuta dalle nuove generazioni.”
Una parabola di comunione
Taizé è stata una parabola di comunione anche durante i tempi della divisione netta del mondo. Oggi il mondo pare più connesso ma le divisioni attraversano ancora il cuore degli uomini e degli Stati. Come è possibile essere – senza retorica – a servizio della riconciliazione? “La nostra epoca è davvero piena di paradossi. Senza dubbio come mai nella storia, siamo interconnessi e le notizie viaggiano istantaneamente da un capo all’altro del mondo. Allo stesso tempo, ci sono divisioni che si aggravano, un aumento della xenofobia e, in molte parti del mondo, preoccupanti fenomeni di rigurgiti identitari. Di fronte a questi pericoli, dare vita ad incontri personali è fondamentale. Senza scambi concreti, ci rimangono statistiche o paure irrazionali.
Sì, gli incontri faccia a faccia sono essenziali: serve mettersi in ascolto della storia delle persone concrete: un migrante, un rifugiato. Incontrare quelli che vengono da altrove ci permetterà anche di comprendere meglio le nostre radici e approfondire la nostra identità. E’ successo anche a noi: ospitando migranti nel nostro villaggio, abbiamo assistito alla nascita di una vera ondata di solidarietà, anche da parte di persone che non vengono mai a pregare a Taizé.”