Taizè a Torino a fine anno. I giovani protagonisti
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Un dialogo con frere John priore di Taizé. Molti giovani sono attesi per l’incontro di fine anno a Torino
Taizè a Torino a fine anno. Dal 1978 la comunità di Taizé invita ogni anno i giovani ad un incontro europeo chiamato “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra” in una grande città europea, all’Est e all’Ovest. Durante l’ultimo incontro europeo in presenza, tenuto a Wrocław, in Polonia, il 30 dicembre 2019, frère Alois, il priore della comunità succeduto a frère Roger, aveva annunciato che la sede del prossimo raduno europeo sarebbe stata Torino. La pandemia di Covid ha rinviato di un anno l’appuntamento ora previsto da lunedì 28 dicembre 2021 a sabato 1º gennaio 2022. Cinque giornate che vedranno la partecipazione di giovani da tutto il mondo, scandite da tempi di preghiera comune, con canti e momenti di silenzio e workshop su vari temi religiosi ed ecumenici. Come da tradizione, elemento importante di questi incontri sarà l’ospitalità da parte delle famiglie e delle comunità che accolgono le migliaia di giovani europei nelle loro case.
Abbiamo dialogato con frère John, monaco di Taizè dal 1974, biblista, da molti anni instancabile animatore di incontri con i giovani.
Cosa significa per la comunità di Taizè ripartire in presenza a tenere gli incontri di fine anno?
Avevamo programmato un incontro europeo a Torino l’anno scorso. Poi per via della pandemia non è stato possibile. Quest’anno ci siamo interrogati se riproporlo oppure no. Ci siamo detti che in un tempo dove è sempre più forte la paura e l’isolamento, abbiamo più che mai bisogno di vivere un segno di fiducia e di solidarietà, di comunione. Quindi proviamo a chiamare i giovani a venire a Torino per quattro giorni di preghiera e di vita comune insieme con la chiesa locale. Forse l’evento sarà più piccolo del solito ma abbiamo sentito importante farlo.
Qual è la logica che tanti anni vi ha guidato nel pensare questi incontri europei?
Tanti giovani, forse centinaia di migliaia, sono venuti a Taizé negli ultimi quarant’anni. Fanno una bella esperienza di vita cristiana. Può servire talvolta uscire dalla propria realtà per vivere diversamente, ma non è sufficiente. Allora la nostra domanda è stata: come aiutare i giovani, dopo un’esperienza forte come quella di Taizé, di continuare un cammino di amicizia con Cristo? E ci siamo detti: portiamo quest’esperienza in una grande città e viviamola con le parrocchie, con tutti i credenti. Così forse si potrà capire che è possibile viverla ovunque, anche in mezzo alla vita quotidiana.
E’ probabile che risponderanno al vostro appello migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo. Dove crede stia il segreto della risposta alla vostra chiamata?
È una domanda difficile, perché nessuno sa completamente il significato della propria vita. Ma credo che molti giovani cercano un significato nella loro esistenza che va oltre ciò che propone la società odierna. Inoltre vogliono anche incontrare giovani da altri paesi che hanno una ricerca simile. Forse percepiscono anche incoscientemente che questo senso della vita si trova nel Vangelo. Credo anche che la semplicità della proposta parla ai giovani. Non abbiamo nessun metodo, nessuna tecnica. Vogliamo soltanto vivere in comunione con Dio e con gli altri e aprire questa possibilità a chi vuole parteciparne.
Eppure in Occidente i giovani sono i grandi assenti nelle chiese. Come è possibile rendere ancora oggi significativo per le nuove generazioni la vicenda di Gesù e l’esperienza cristiana?
Vivendole nella semplicità, senza pretendere di possedere la verità. Quando i cristiani danno l’impressione di sapere già tutto, di essere già arrivati, allontanano le persone e soprattutto tanti giovani che sono in ricerca. Frère Roger, il nostro fondatore, diceva spesso che anche noi siamo in cammino, che siamo poveri di Dio. Cristo è la verità, ma di questa verità non siamo padroni, cerchiamo di viverla come possiamo, con tutta la nostra fragilità umana.
Da sempre siete testimoni di comunione. Eppure il mondo pare sempre più diviso. Si alzano muri, si espellono donne e uomini dai propri confini. Come è possibile essere, senza retorica, a servizio della riconciliazione?
Vivendola prima di tutto dentro di noi. Cercando di essere uomini e donne di ascolto. Nella misura in cui cerchiamo di radicare la nostra vita nella preghiera, nel rapporto con Dio, diventiamo più capaci di guardare le cose con un certo distacco. Non solo, ma evitiamo un atteggiamento interessato, o anche fazioso, rispetto agli altri. Ciò non vuol dire accettare tutto ma, piuttosto, cercare la parte di verità presente in ognuno. In quel modo possiamo creare ponti fra persone e gruppi separati.
Sedici anni fa moriva frère Roger. Che ricordo personale ha di lui?
Era un uomo semplice, molto umano, con tutti i suoi limiti, ma fino al suo ultimo momento è stato motivato da una passione: far capire che Dio è amore e nient’altro, che Dio vuole per tutti la vita in pienezza. E che la sua Chiesa deve essere un luogo di comunione per tutta l’umanità. Tornava sempre alle stesse intuizioni di base e questo dava alla sua vita una grande unità e una grande coerenza.
Qual è l’eredità di frère Roger più preziosa?
Ci sarebbe tanto da dire, è difficile pensare a una sola cosa. Ma una cosa essenziale che ho imparato da lui è che possiamo sempre ricominciare a camminare là dove siamo, che Dio dà, ad ogni momento, qualcosa che è sufficiente per fare ancora un passo in avanti. E che un piccolo passo conduce sempre ad un altro. Non è necessario vedere tutto il cammino o avere tutte le risposte: dobbiamo soltanto rispondere come possiamo alla chiamata che ci viene ogni giorno attraverso le persone e gli avvenimenti.