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Sul celibato dei preti

Sul celibato dei preti

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Le parole di Francesco.
Le scelte del Sinodo tedesco.
Le prospettive future

Quello che Papa Francesco ha detto

“Non c’è alcuna contraddizione nel fatto che un prete si sposi”. Così papa Francesco un paio di settimane fa a proposito del celibato all’interno della Chiesa cattolica. “Il celibato nella Chiesa occidentale è una prescrizione temporanea: non so se si risolve in un modo o nell’altro, ma è provvisoria in questo senso. Non sono ancora pronto a rivederlo, ma ovviamente è una questione di disciplina, che oggi c’è e domani può non esserci, e non ha niente a che vedere con il dogma». E ancora: “In realtà, nella Chiesa cattolica ci sono sacerdoti sposati: tutto il rito orientale è sposato. Tutto. Tutto il rito orientale. Qui in Curia – ha spiegato il Papa – ne abbiamo uno, l’ho incontrato oggi: ha una moglie e un figlio. Non c’è nessuna contraddizione per un sacerdote nel potersi sposare.” Con altrettanta schiettezza papa Francesco ha ribadito di non credere che una eventuale abolizione del celibato dei preti possa portare ad un aumento delle vocazioni.

Le proposte della Chiesa tedesca

Le affermazioni di papa Francesco (peraltro non nuove) hanno fatto discutere anche perché, più o meno contemporaneamente, sono state presentate alla stampa alcune risoluzioni approvate dal cammino sinodale della Chiesa tedesca in corso a Francoforte. Una di queste, approvata a larghissima maggioranza, è a favore di una revisione delle norme sul celibato. Il testo adottato formula una richiesta a papa Francesco di “riesaminare il nesso tra consacrazione e obbligo del celibato”.

“Riesaminare il nesso tra consacrazione e obbligo del celibato”

Una formulazione più ampia, che chiedeva al Papa di revocare direttamente il celibato obbligatorio, è stata respinta con una maggioranza di due terzi. L’Assemblea sinodale tedesca ha inoltre deciso di chiedere al Papa di esaminare se ai sacerdoti già ordinati possa essere data la possibilità di essere sciolti dalla promessa del celibato senza dover rinunciare all’esercizio del ministero. Inoltre, il testo chiede che gli ex sacerdoti siano maggiormente coinvolti nella vita attiva della Chiesa.

Il testo della mozione “Il celibato dei sacerdoti – rafforzamento e apertura” è stato votato con una maggioranza di quasi il 95 per cento dei 205 voti espressi. Dei 60 vescovi presenti, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti.

Un po’ di storia per capire

Come è andata la storia lo sappiamo: la prima solenne e severa normativa in proposito, emanata dal Concilio Lateranense I nel 1123, faticò ad affermarsi, tanto diffuso era il concubinaggio dei preti. L’obbligo del celibato “ebbe anche una motivazione economica: impedire che il “beneficio” (il terreno e gli immobili che davano al parroco il sufficiente per vivere) non fosse spartito tra figli e nipoti, esaurendo così, nel tempo, le sue entrate.

 Il celibato ecclesiastico non è di natura divina. E’ solo una tradizione che appartiene alla disciplina della Chiesa

Nel terzo Concilio Lateranense, che si tenne nel 1179, venne stabilito che il celibato ecclesiastico non è di natura divina, ma solo canonica, cioè rappresenta una tradizione che appartiene alla disciplina della Chiesa latina. In questo modo il Lateranense III decideva di non mutare la “disciplina apostolica” dei primi sette primi concili ecumenici (riconosciuti anche dalla Chiesa ortodossa), che rendeva possibile l’ordinazione presbiterale anche di uomini sposati.

Non, invece, la possibilità di sposarsi dopo l’ordinazione. Le Chiese orientali – ortodosse e cattoliche -prevedono infatti l’ordinazione di seminaristi già sposati, ma non il matrimonio per i preti già tali. Mentre la Chiesa latina ha scelto di ordinare soltanto uomini celibi. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel decreto «Presbyterorum ordinis», riconosceva che la scelta celibataria non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio.  

La proposta: preti sposati e preti celibi

La proposta che viene da più parti sollevata oggi è quella di accedere a una duplice tipologia di ministero: quello celibatario e quello uxorato (di uomini sposati).

Non si deve certo bandire il ministero celibatario, laddove è espressione di una libera scelta frutto di una autentica vocazione alla verginità. Vi sono buone ragioni per affermare che il celibato, vissuto nella gioia di una libera scelta, costituisca, oltre che un segno della dimensione escatologica del mistero cristiano, uno status che offre una particolare disponibilità interiore a vivere il ministero ordinato. Ma questo non esclude la plausibilità della presenza di un sacerdozio uxorato, che ha, a sua volta, notevoli chances anche dal punto di vista pastorale: si pensi soltanto a quanto è importante l’esperienza familiare per affrontare, in modo efficace, questioni di vita quotidiana che coinvolgono la maggior parte dei fedeli (Giannino Piana).

Certo, si porrà la questione su come concepire il rapporto tra queste due tipologie di ministero. L’importante è cominciare a ragionare e non ostinarsi a mettere la testa sotto la sabbia (le doppie o triple di vite di alcuni preti dovrebbero essere fatte oggetto di reale interrogazione). E capire che l’eventuale abbandono dell’attuale disciplina celibataria, lungi dal dover essere considerato come un cedimento allo “spirito del tempo”, diventerebbe l’occasione per un vero e proprio arricchimento dell’azione pastorale della Chiesa.

La possibilità di accesso al sacerdozio in ambedue le condizioni di vita, oltre a costituire un atto di rispetto della libertà personale e a dare luogo a scelte umanamente più solide perché più serene, favorirebbe la realizzazione di una complementarità nell’esercizio del ministero sacerdotale oggi necessaria per interpretare correttamente la complessità delle situazioni e rispondere con efficacia alle richieste di una condizione di secolarizzazione, che rende sempre meno percepibile la domanda di fede.

 

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