Sinodo. Il problema è crederci
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Sinodo pare essere la parola del momento della Chiesa cattolica. Non c’è documento o intervento ecclesiale che non lo richiami.
Con un’insistenza un po’ sospetta che fa intendere la scarsa consuetudine ad assumere lo stile proprio di un percorso sinodale. E mostra la fatica di trovare forme e modi, oltre le parole e gli slogan, per renderlo davvero percorribile.
La Chiesa fa fatica a “camminare insieme”
Nonostante le insistenze di papa Francesco che in un primo momento ha scosso diverse chiese nazionali, italiana inclusa, la Chiesa cattolica, per tante ragioni, non sempre è stata in grado di assumere la postura sinodale che potremmo riassumere in alcune scelte di fondo: ascolto, dialogo, partecipazione, comunione nelle differenze. E’ una ricerca di una “sinfonia” nella varietà dei carismi e dei ruoli: né fughe solitarie, né ricatto dell’immobilismo.
Mette in gioco l’autorità e l’esercizio del potere, la capacità di camminare insieme. Toglie fiato al clericalismo, dà spazio alle laiche e alle laici, impedisce che qualcuno decida per tutti, facendo proprio un principio caro alla Chiesa del primo millennio: “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato e approvato”. Insomma, davvero un processo piuttosto che un evento. Su questa strada da tempo camminano molte Chiese cristiane e diverse fedi.
Non tutti ci credono: vescovi, preti e laici
Occorre però riconoscerlo con molta franchezza: a fronte di tante parole sono pochi i processi sinodali realmente avviati nella Chiesa cattolica. Qualcuno sostiene che non ci credono i Vescovi che intendono il Sinodo come uno dei tanti contenuti che, a ciclo continuo, sono chiamati ad attivare e promuovere.
Una “fissazione” di papa Francesco subita dai Vescovi italiani alle prese con un disorientamento inedito e profondo che nasce dalla progressiva consapevolezza di un radicale cambiamento dentro la vita delle persone e delle comunità sempre più distanti dalla vicenda cristiana formulata dalla Chiesa.
Altri sostengono che non ci credono i preti, certo non formati nè abituati a pensare e a realizzare, nella prassi non solo nelle parole, una corresponsabilità che permetta di far crescere donne e uomini adulti nella fede. E’ indubbio a molti che troppe volte nella chiesa pare valere il principio della “piramide sospesa” (cosi la chiama un teologo), in cui tutto (di)pende dal vertice, gestore e dispensatore del sacro.
L’aver parte della comunità ecclesiale è posto perciò sotto il sigillo dell’appartenenza e i fedeli sono considerati, in pratica, dei sudditi la cui virtù prima sta nell’obbedienza: attiva, collaborativa, consapevole ma pur sempre obbedienza. Una visione che, a dispetto delle molte parole, sviluppa un sottile e nuovo tipo di clericalismo (su cui si è scagliato più volte papa Francesco) e permette il germoglio di laici più clericali dei preti.
Altri ancora dicono che non ci credono i laici. Non si cancella presto una tradizione secolare che li ha voluti subalterni. Ho scritto spesso che la questione dei laici sta al centro delle sfide pastorali che si trovano ad affrontare le nostre comunità parrocchiali. La loro innegabile valorizzazione è avvenuta soprattutto nei termini della loro attiva partecipazione al ministero della Chiesa in qualità di catechisti, di animatori liturgici, di operatori nel campo dell’assistenza. Il rischio è che questo loro impegno dentro la Chiesa – che è comunque indispensabile ed esige anzi un lavoro formativo ancora più preciso – sia visto ancora prevalentemente in termini di collaborazione e di supplenza all’azione del prete. Questa prospettiva non permette di costruire la parrocchia come una comunità di battezzati, di cristiani.
Senza lo spirito del sinodo “la Chiesa si corrompe”
Eppure la strada è tracciata. Piaccia o meno, da qui – da un Sinodo che non ha un argomento specifico perché il suo oggetto, la sinodalità, è anche il suo metodo – non si torna indietro. Acutamente lo osservava mons. Sequeri: “Senza la sinodalità la Chiesa non è semplicemente meno simpatica: si corrompe”.
E chissà che strada facendo vescovi, preti e laici capiscano che solo insieme sarà possibile tracciare strade di Vangelo. In una diversità di carismi, ma su un piano di parità e complementarietà, uscendo dalle relazioni di potere che troppo spesso hanno prevalso, e prevalgono tutt’ora, nella Chiesa. Cominciando a sperimentare oggi quello che, probabilmente, saremo obbligati, per ragioni evidenti, a fare domani. Un domani sempre più vicino. Altrimenti, schiacciati dal peso della tradizione e dal poco coraggio, rischiamo di stare, da risentiti, impantanati in paludi stagnanti. Se invece così dovesse accadere, evitiamo almeno la retorica delle parole.