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Oltre “l’indietrismo” oggi di moda nella Chiesa

Oltre “l’indietrismo” oggi di moda nella Chiesa

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

Investire energie dove si tratterebbe di osare qualche percorso nuovo. La lettera del nuovo arcivescovo di Torino

La lettera con la quale il nuovo vescovo di Torino, Roberto Repole, si è presentato alla diocesi merita di essere letta.

Una presa d’atto coraggiosa

Monsignor Repole – che nei giorni precedenti ha presentato la squadra di governo che comprende anche una donna laica, la dottoressa Concetta Caviglia, come Cancelliere Arcivescovile della Curia – mostra di avere sin da subito sguardo lucido e non edulcorato sui cambiamenti in atto.

Bisogna essere lucidi e prendere atto che la nostra società non è più ”normalmente cristiana”

È sotto gli occhi di tutti, il fatto che il numero dei preti è in calo ormai da decenni e che la loro età media è piuttosto elevata. È meno evidente ai più, anche se non meno significativo, il fatto che anche il numero dei cristiani che vivono una qualche reale appartenenza alla Chiesa è di molto inferiore rispetto al passato. Insomma, si tratta di guardare con lucidità la realtà e prendere sempre più profondamente coscienza che la nostra società non è più normalmente cristiana

Fin qui l’analisi (dopo Francesco, un vero e proprio mainstream nei nostri ambienti).

Conservare l’antico non basta. Bisognerebbe osare il nuovo

Ma il nuovo Arcivescovo si spinge oltre:

Eppure, noi siamo ancora strutturati – a partire dalle nostre parrocchie – nell’implicito che tutti siano cristiani; e operiamo, a diversi livelli, sulla base della implicita convinzione che sia così, con il grave rischio di investire tantissime risorse in attività pastorali che sembrano non portare frutto, di non provare ad investire (all’inverso!) energie laddove si tratterebbe di osare qualche percorso nuovo e, soprattutto, di perdere noi per primi il gusto della vita cristiana e di una serena e gioiosa sequela del Signore.

Appare sempre più chiara, dunque, la necessità anche urgente di ridisegnare il nostro modo di esistere, come Chiesa, sul territorio, al fine di continuare qui ed ora ad essere ciò che dobbiamo essere e ad offrire il Vangelo alle donne e agli uomini che incontriamo e lo desiderano. Non farlo, significherebbe rimanere schiacciati da un passato che ci impedisce di compiere la nostra missione nel presente e, dunque, di essere fedeli a Cristo.”

Parole che riecheggiano quelle pronunciate pochi giorni fa da papa Francesco durante l’omelia della messa per i santi Pietro e Paolo: “Le tentazioni di rimanere fermi sono tante; la tentazione della nostalgia che ci fa affermare che altri sono stati i tempi migliori, per favore non cadiamo nell’“indietrismo”, questo indietrismo di Chiesa che oggi è alla moda”.

Troppe strutture da mantenere. Compiti sempre più stressanti per i preti

Perché non siano parole vuote, Repole segnala alcune sfide molto concrete.

Dobbiamo continuare a mantenere semplicemente tutte le infinite strutture di cui beneficiamo (locali, case, chiese, oratori…) anche se – invece che servire a vivere una vita cristiana ed ecclesiale autentica ed essere degli strumenti per l’evangelizzazione – costituiscono un peso insopportabile, per chi è chiamato a gestirle, rubando energie, serenità e gioia?

Non basta affidare diverse parrocchie a un solo prete se non si cambia nulla

Possiamo continuare a mantenere tutte le parrocchie, immaginando che vi si svolga tutto quello che vi si svolgeva nel passato, chiedendo ad un prete che – invece di essere parroco di una comunità – lo sia di diverse, senza però cambiare nulla?
Come si può immaginare, facendo così, che i preti possano vivere una vita serena, possano trovare il tempo per coltivare la preghiera e la lettura e offrire un servizio qualificato, possano trovare la giusta serenità per incontrare le persone…?
E come pensare che la loro vita possa risultare attrattiva per dei giovani oggi?

Ridirsi, insieme finalmente, ciò che conta davvero

Sono solo esempi ma che il nuovo Arcivescovo segnala alla sua comunità torinese per dire le sfide del tempo e  la grande opportunità che il Signore offre alla spaventata Chiesa di oggi. Vuol dire mettersi in cammino, non dare più per scontato nulla, ridirsi – insieme, finalmente  – ciò che conta davvero per la vicenda cristiana.

E’ necessario l’apporto di tutti

Nella consapevolezza di un discernimento veramente comunitario che possa portare ad avanzare proposte per “cammini sperimentali”: Cercare di provare oggi (affiancando e sostenendo) quello che – quasi inevitabilmente – saremo chiamati a vivere domani. 

“Per un lavoro come questo e così decisivo ci sarà bisogno dell’apporto di tutti: anche perché la diocesi è davvero vasta e sarà indispensabile, se non vorremo essere ideologici e applicare un’idea preconfezionata alla realtà, discernere che cosa ci è chiesto di fare nelle diverse situazioni. Un conto, ad esempio, sarà ciò che ci sarà richiesto nella grande città, altro in zone di montagna o di campagna.” Per questo la lettera – un testo breve e comprensibile da tutti, anche fuori dal recinto ecclesiale – termina con un appello a tutti: “In questo orizzonte, faccio appello alla buona volontà e alla corresponsabilità di tutti. So molto bene che, per diversi motivi, si può talvolta avere l’impressione, nella Chiesa, di essere richiesti di partecipazione e di proposte, senza che poi si veda un seguito all’incontrarsi, al dialogo, alle proposte avanzate.

Insomma, il nuovo arcivescovo di Torino disegna un metodo e uno stile che, almeno nelle premesse, è significativo. Speriamo che riesca a tradurlo in scelte pastorali adeguate. E speriamo che la stessa visione e lo stesso coraggio oltrepassino i confini della diocesi torinese.  

 

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