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Non è tempo di indifferenza. Memo per preti che vogliono tirarsi fuori

Non è tempo di indifferenza. Memo per preti che vogliono tirarsi fuori

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Alcuni catechisti chiedono al parroco un incontro con tutti i candidati alle elezioni regionali.
Il parroco sentenzia: non si fa politica. Poi, però, chiede soldi all’Amministrazione per le istituzioni parrocchiali

Non si fa politica nei luoghi della Chiesa”, così un parroco di una comunità della nostra terra bergamasca ha risposto ad un gruppo di catechisti che chiedeva di ospitare nelle sale dell’oratorio un confronto tra i candidati di tutti e quattro schieramenti in vista delle prossime elezioni regionali. Come mi hanno fatto notare amici di quella comunità, lo zelo del pastore  nei riguardi della politica si ferma quando gli capita, e giustamente, di andare a chiedere un contributo economico all’Amministrazione per i servizi educativi che la parrocchia con grande sapienza mette in campo nel territorio. 

I silenzi assordanti dei cattolici sulla politica

Immagino che la scelta del parroco sia condivisa da tanti altri suoi confratelli. Come a dire di un atteggiamento di distanza da un mondo – quello della politica – sentito come ostile e con il quale si può,semmai, solo avanzare e patteggiare qualche ritorno economico. Un baratto che rischia di sapere poco di Vangelo e un atteggiamento che nasconde  silenzi assordanti e, forse, qualche omissione. Sullo stato di salute della democrazia del nostro Paese, ad esempio.

E’ sotto gli occhi di tutti che da molto tempo la politica in Italia è gravemente inferma, né si vedono segni di miglioramento. La crisi del vecchio modo di fare politica, pragmatico e senz’anima, che ha fatto morire la prima Repubblica, non è stata certo risolta. Si è diffusa, così, nel Paese – e anche nelle nostre comunità cristiane – una cultura “anti-politica”, che si manifesta soprattutto nel crescente assenteismo e nel disinteresse dei cittadini verso la cosa pubblica. O sul dilagare di una cultura – quella neoliberista – che mette sempre più in difficoltà le reti di protezione sociale e che fa ricadere sui più deboli il peso maggiore di riforme destinate a premiare i più forti.

Intanto la povertà cresce

Giusto per uscire dalla retorica, basta ricordare l’ultimo Rapporto Caritas dell’ottobre scorso secondo il quale cresce la povertà minorile e la povertà assoluta. Una povertà diventata “ereditaria” come conferma una ricerca intergenerazionale sui beneficiari. Sono infatti i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente. Al punto che il cardinal Zuppi, intervenendo, alla presentazione del Rapporto ha detto che “l’ascensore sociale è guasto, è rotto da tempo e pochi sono interessati ad aggiustarlo”.

Con coraggio, il cardinal Martini aveva detto:

Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza. Non basta dire che non si è né l’uno né l’altro, per essere a posto; non è lecito pensare di poter scegliere indifferentemente, al momento opportuno, l’uno o l’altro a seconda dei vantaggi che vengono offerti. È questo un tempo in cui occorre aiutare a discernere la qualità morale insita non solo nelle singole scelte politiche, bensì anche nel modo generale di farle e nella concezione dell’agire politico che esse implicano. Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell’uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia.

Ce lo aveva già detto il Vaticano II: “La chiesa non desidera affatto intromettersi nella direzione della società terrena; essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza se non quelle di servire amorevolmente e fedelmente, con l’aiuto di Dio, gli uomini” (Ad gentes 12).

“I care, mi sta a cuore, mi interessa”

Siamo nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani. A Barbiana, nella parete della stanza dove ogni giorno faceva scuola, fece scrivere, in grande, I CARE: mi sta a cuore, mi interessa. L’esatto contrario – scrissero i suoi ragazzi – del “me ne frego fascista”.

Dovremmo partire da qui. Dall’impegno incessante di formare cristiani che  laicamente, partecipano alla costruzione della città di tutti. Con competenza e non solo con buone intenzioni.

Senza paure o remore perché, in attesa del Regno, nel destino del mondo è inscritto il destino dei credenti. Dopo l’incarnazione, la storia è la grande basilica dove Dio ha lasciato tracce. Non c’è altro modo per scovarle. 

Se passo dalle parti di quel prete, mi sa che mi fermo a dirglielo.

 

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