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Morti in mare. Assenza della politica. Silenzio dei cristiani

Morti in mare. Assenza della politica. Silenzio dei cristiani

[di Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Vado a Gerusalemme e mi fermerò sulla tomba di Oskar Schindler. E ricorderò ai miei amici le centinaia di morti della recente tragedia nel mare di Grecia. La politica ne ha parlato poco e i cristiani non hanno pregato

Sabato prossimo sarò a Gerusalemme a guidare un gruppo numeroso delle ACLI lombarde. Vorrei, come faccio spesso, trovare il tempo per sostare presso il cimitero cattolico, posto sul Monte Sion, di fronte alla tomba di Oskar Schindler, l’industriale tedesco che, con la sua provvidenziale “lista”, salvò la vita a 1200 ebrei. Ricorderei al gruppo la frase incisa sull’anello d’oro, forgiato di nascosto, che i salvati gli regalarono prima della sua partenza da Brinnlitz. Una frase presa dal Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Ogni volta che la pronuncio, la associo all’esortazione presente nella Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli”. 

L’ultima, l’ennesima tragedia del mare

Nei giorni scorsi, nel silenzio assordante di una politica alle prese con altre faccende, sui media ha fatto una breve comparsa la notizia dell’ultima tragedia dei migranti nel Mediterraneo. Il tratto di mare interessato è profondo cinquemila metri e il diritto dice essere “in acque internazionali”. Si tratta di quelle acque su cui nessun Stato esercita sovranità e quindi, dato che non sono di nessuno, sono di tutti (anche se il Paese più vicino è la Grecia).

500-700 a bordo, I morti, forse, sono centinaia

Un peschereccio partito da Tobruk, nella Libia orientale controllata dalle forze del generale Kalifa Haftar, diretto in Italia, probabilmente verso le coste della Calabria, si è ribaltato ed è affondato. A bordo c’erano dalle 500 alle 700 persone. Nella stiva donne e bambini. Questi ultimi, dicono i media greci, sarebbero stati tantissimi, forse anche un centinaio. Il bilancio ufficiale parla di 78 morti ma comprende unicamente i corpi recuperati: dunque, certamente, è molto più alto.

E il solito fragoroso (quasi) silenzio

Di fronte alla mattanza che sta avvenendo nel cortile di casa nostra, in quel grande cimitero che è diventato il Mediterraneo, sotto i nostri occhi sempre più annoiati e distratti, occorre interrogarsi. Sulle parole che usiamo. Sulla rozzezza, scambiata per dialettica, che usa i morti per fare propaganda politica. Su chi criminalizza ogni volta l’azione delle ONG che si battono per salvare esseri umani e salvaguardare diritti. Sull’imbarbarimento che viene ogni qualvolta qualcuno dice ad alta voce o, peggio ancora, nel silenzio del cuore: “Uno di meno”.  

La politica era in altre faccende affaccendata e i cristiani non hanno trovato il tempo per pregare

Sulla progressiva indifferenza che attanaglia anche le nostre comunità cristiane (quante sono le chiese che domenica scorsa hanno pregato per le vittime?). Sul perché Triton non funziona e perché ogni volta, sulla pelle delle persone in carne e ossa, c’è il gioco del rimpallo. Sulle responsabilità del nostro Paese e su quelle europee. Su una politica che, in nome del consenso, si misura a partire dagli interessi dei pochi e non dai bisogni dei molti. Anche se provengono da un’altra terra. Sulla miopia di chi, per ragioni economiche, ha scalzato dittatori sanguinari dimenticando di colmare i vuoti di potere e di gestione. 

Quello che è certo è che oggi a spostarsi non sono persone ma intere popolazioni. 230 milioni di persone che si muovono sono un continente. Il sesto continente. Non si può fermare o cancellare un continente. E chi affronta il viaggio non sono invasori ma vittime

Noi da che parte stiamo?

 

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