Mete dello Spirito III: Monaci in città
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Poiché uno dei fatti più rilevanti del nostro tempo è il fenomeno urbano delle grandi città moderne, una delle caratteristiche essenziali della tua vocazione monastica, oggi, è di essere cittadina. (…) Nel cuore della città sosterrai una duplice lotta: per il Signore e contro il male. Riceverai quindi una duplice grazia: l’incontro con Dio e la purificazione dal peccato. In essa tu dovrai lottare e contemplare. Ciò che i primi monaci andavano a cercare nel deserto, oggi lo troverai nelle città”. (Libro di Vita, § 128-129)
Li avevo incontrati, per caso, molti anni fa, a Parigi, nella splendida chiesa di St. Gervais, posta dietro all’Hotel de Ville, vicino a Notre Dame. Ero rimasto colpito dalla bellezza della liturgia e da alcuni fogli, con la loro regola, che avevo trovato su un tavolo, in fondo alla chiesa. In quelle pagine, ricche di parole bibliche, riferimenti patristici e citazioni mistiche, avevo colto qualcosa di antico e di incredibilmente moderno, capace di provocare passione per la vita e passione per un Dio nascosto dentro le pieghe della storia umana.
una profondità e, insieme, una leggerezza evangelica affascinante
Nei “monaci e nelle monache di Gerusalemme” – questo era il nome della fraternità incontrata a St.Gervais – avevo colto una profondità e, insieme, una leggerezza evangelica affascinante. In una realtà come quella francese, segnata da profondi processi di scristianizzazione, era singolare veder rifiorire esperienze nuove ed originali da alberi millenari.
E poi mi intrigava l’idea di essere “monaci nella città”, uomini e donne testimoni dell’Assoluto dentro le caotiche strade del nostro tempo. Erano gli anni di Carlo Carretto e del suo libro “Il deserto nella città”, gli anni di Spello e di Taizè con i loro inviti continui a stare dentro la storia con un cuore contemplativo, dentro il mondo ma custodendosi dallo spirito del mondo.
Gli anni di una fede che – percepivamo confusamente – non poteva fuggire dalle vicende umane e, insieme, non radicarsi sull’essenziale.
Nel deserto delle città
A Parigi, il monaco incontrato per caso all’uscita della sagrestia mi raccontò che tutto nacque per merito di un giovane prete parigino, Pierre-Marie Delfieux, nato nel sud della Francia, già cappellano degli studenti della Sorbona, poi eremita per due anni a Beni-Abbès e poi all’Assekrem, nel deserto del Sahara.
Tra le dune e le pietre care a Charles de Foucauld, Pierre Marie maturò l’idea di fondare “nel deserto delle città” fraternità monastiche urbane per rispondere ad una chiamata della Chiesa di oggi e del mondo di questo tempo.
In accordo con il cardinal Marty, a Parigi, nella festa di Ognissanti del 1975, nasceva la prima comunità monastica di Gerusalemme. Da quel momento, fratelli e delle sorelle, laici e consacrati, hanno iniziato un’avventura spirituale che, in pochi anni, è riuscita ad aggregare molti giovani: oggi sono più di centosettanta tra fratelli e sorelle. Quindici di questi sono italiani.
Le origini a Parigi, poi in diversi altri luoghi, poi la Badia di Firenze
I “monaci di Gerusalemme” li avevo persi di vista ma girando qua e là per la Francia mi capitava di incontrarli e, sempre, in posti di grande storia e di straordinaria bellezza: Mont St.Michel, il complesso monastico costruito su di un isolotto di fronte alla costa della Normandia, Strasburgo, Vézelay, l’antico villaggio borgognone, dove si trova la splendida basilica medievale dedicata a Santa Maria Maddalena.
Finche un giorno ho letto del loro arrivo, su invito del Cardinale Piovanelli, alla Badia di Firenze. Un luogo importante per il capoluogo toscano: il più antico monastero, centro religioso della città, la chiesa di cui Dante parla nella Divina Commedia e in cui Boccaccio fece la prima lectio dantis. Ma la Badia di Firenze è anche la chiesa dove, in un passato più recente, il professor La Pira, straordinario sindaco degli anni sessanta, la domenica mattina radunava i poveri per la messa e per offrire loro qualcosa da mangiare. Insomma, preso dalla curiosità sono sceso ad incontrarli.
Nel cuore delle città, nel cuore di Dio
Ad accogliermi, al termine della liturgia del mezzogiorno, è fr. Antoine Emmanuel, parigino, priore della piccola ma vivace comunità maschile. Presso la Badia Fiorentina, le sorelle sono in 18, guidate da Sr Rosalba, priora, originaria di Faenza: 10 sono italiane, 4 francesi, 2 polacche, una del Togo, un’argentina, un’americana. Con in fratelli condividono la preghiera e alcuni momenti di formazione.
I fratelli sono solamente in otto: fr. Antoine-Emmanuel, Daniel, un giovane di Brescia di 25 anni, passato in comunità quando faceva l’obiettore e che poi ha scelto di rimanere, Matteo che ha 25 anni e lavora presso persone anziane, Sebastiano, che lavora come cuoco e ha 28 anni, Nicolas giovane sacerdote francese, Giacomo, il più anziano della comunità, Roberto e Marcelo, appena arrivato dal Cile.
Con tutti loro, ho pranzato nello splendido refettorio. Matteo, quel giorno, leggeva ad alta voce un quotidiano. In altre giornate, il tempo del pasto lo si trascorre ascoltando letture spirituali o di cultura generale letti, a turno, da uno di loro, oppure musica.
La bellezza è una via regale che porta all’incontro con Dio
Anche a Firenze siete in un posto splendido… comincio a chiedere a Fr. Antoine. “E’ un’intuizione di Fr. Pierre-Marie, il nostro fondatore” mi risponde. “La bellezza conduce a Dio. La bellezza è una via regale che porta all’incontro con Dio. Certo, non bisogna cadere nell’estetismo, ma occorre riconoscere che le strade della bellezza conducono a Colui che è bellezza, che è bello! Padre Cantalamessa ha scritto da poco che nella Chiesa c’è chi più specificamente testimonia la bellezza del Risorto e della risurrezione e c’è chi è testimone di un’altra bellezza, quella del crocefisso, la bellezza del Cristo sofferente. Queste due vie sono necessarie per la Chiesa e per la vita di ciascuno di noi. Aggiunse che le nostre Fraternità, a suo parere, hanno più particolarmente il compito di testimoniare al mondo la bellezza della resurrezione.”
Un dito che indica il cielo
“Ma chi sono i “monaci di Gerusalemme”? “Ciò che, tra i monaci, ci distingue è in particolare il fatto di essere dei cittadini inseriti nel contesto delle grandi città e di seguire il ritmo urbano. Per questo lavoriamo nelle città e preghiamo in una chiesa aperta sulla città.
Siamo salariati: lavoriamo part-time per essere solidali con la maggior parte degli uomini d’oggi che percepiscono un salario e per volere guadagnare da vivere senza arricchirci. Siamo inquilini sia per quanto riguarda le nostre abitazioni che le chiese che ci vengono solitamente affidate. La nostra regola prevede di non essere proprietari di nulla. Non abbiamo clausura circoscritta da mura. Il nostro monastero è la città. Infine, siamo inseriti nella realtà della Chiesa locale, secondo le esigenze del Concilio Vaticano II, in stretto legame con il vescovo in ogni città in cui siamo presenti.”
L’essenziale del loro carisma è racchiuso, oltre che nelle Costituzioni dei fratelli e delle sorelle, nel “Libro di vita di Gerusalemme” tradotto in più di venti lingue e pubblicato in italiano da Piemme. Il testo non è tanto una regola propriamente detta, quanto un itinerario spirituale, che indica gli orientamenti di fondo della via dei fratelli e delle sorelle di Gerusalemme.
Il monachesimo antico usciva dalla città, voi invece avete deciso di stare dentro la città… “
Perché Antonio partì per il deserto? Per combattere una lotta spirituale e per vivere una nuova forma di santità. Lo stesso, San Bernardo andava a fondare monasteri nei boschi e nelle foreste, luoghi del buio, del male, e lì si vivevano la lotta e la ricerca di santità. Per noi, il deserto e la foresta sono oggi le città. Scopriamo a che punto la città è luogo privilegiato certo per la lotta spirituale, ma soprattutto per la vita contemplativa.
La città è il luogo degli uomini e l’uomo è quaggiù la più bella immagine di Dio, e non solo immagine, è anche suo tempio, sua dimora. Ci aiuta pensare alla sposa del cantico dei cantici che nella città va in cerca dello sposo. Siamo chiamati a cercare anche noi lo Sposo nella città che Egli ama. Quanto alla nostra missione nella città, faccio volentieri riferimento all’invito che ci rivolse il Cardinale Piovanelli : quando ci ha chiamato qui, ci ha chiesto infatti di essere un segno, di essere, come il campanile della nostra chiesa, un dito che indica il cielo.”
La bellezza ha il volto di Dio
Un dito che indica il cielo. Ma anche un cielo che si fa capolino dentro la città con la liturgia della comunità. Come al solito, essenziale e bella, sobria eppure seguita da molti, soprattutto giovani, inginocchiati in terra o seduti nei pochi banchi. Monaci e monache, vestiti di bianco, disposti in due file e rivolti verso l’altare, pregano e cantano insieme. Partecipando alla vostra liturgia, si direbbe che essa è il cuore della comunità.
Hai ragione. Credo che il nostro carisma fondamentale, cioè il dono d’amore gratuito che il Padre ci fa per condividerlo, sia proprio la liturgia. Ad essa noi dedichiamo la maggior parte del nostro tempo. Certo, noi lavoriamo part-time in città ma il nostro primo “lavoro” è quello di essere uomini e donne dedicati alla liturgia. Essa è anche la nostra prima gioia, quella che ci riempie e rinnova il cuore e ci permette di non dimenticare la presenza e l’amore di Dio.
La liturgia ci immerge nell’intimo della Trinità e ci plasma: è la nostra prima scuola di formazione! Crediamo inoltre che essa sia la nostra prima forma di evangelizzazione. Per esperienza, possiamo dire che la liturgia celebrata con cura e attenzione evangelizza. Abbiamo avuto tante testimonianze di persone che attraverso le nostre liturgie si sono lasciate colpire dalla grazia del Signore.
Io stesso mi sono avvicinato alla Comunità dopo aver partecipato alle liturgie a Parigi.”
Partecipando alla loro liturgia mi sono tornate in mente le parole di Pierre Emmanuel, il grande poeta francese:
Ho avuto l’occasione di fare una conferenza a dei giovani liturgisti. Sono persone che parlano di cose di ogni genere, mai però della bellezza […]. Io parlavo loro dell’arte, e loro non sapevano che cosa fosse. Per la maggior parte non si rendevano conto che cosa fosse l’economia della creazione poetica. Ciò di cui si rendevano conto, è che bisognava ‘adattare’ – perché si tratta sempre di adattare e dunque di minimizzare -, adattare la liturgia alla comprensione che si suppone il più possibile limitata del cristiano d’oggi.
Ora io credo profondamente che non è a questo modo che si risolverà la questione, e che bisogna elevare, costringere questo uomo ad andare verso l’alto. Bisogna metterlo in faccia al mistero”.
Lo aveva ben presente padre Turoldo quando scriveva che
il brutto, la categoria del brutto, non può appartenere al divino. Perciò io oggi ho molti sospetti, e paure, che non siamo sulla via giusta, perché oggi predomina il brutto. Siamo in tempi brutti, abitiamo in città brutte, frequentiamo chiese ancora più brutte. E questo deve farci paura: l’imbruttimento di solito è principio di abbrutimento”.
Profezia è ribadire il primato di Dio
Una clausura non circoscritta da mura perché il monastero ha i contorni della città. Una città che non è solo lo spazio urbano dove vivono i discendenti di Caino o la parabola di una Babele molteplice e confusa ma anche lo spazio in cui Dio abita e si fa presente.
Eppure, chiedo di nuovo a fr.Antoine, stare nel mondo significa a volte stare dentro una realtà nella quale a volte Dio pare muto…
Credo che Dio parli in uno stile umile, discreto e noi spesso, io per primo, non riusciamo a sentirlo. Dio parla anche oggi e, in Gesù, dice, di nuovo, tutto. In Gesù abbiamo la pienezza della rivelazione sulla storia, su noi stessi, su Dio. Bisogna mettersi in ginocchio e renderci disponibili a sentire ciò che Egli vuole da noi.
Cosa volete essere per gli uomini del nostro tempo?
Dovremmo essere ministri di inquietudini: essere un punto interrogativo, mettere in crisi chi ha bisogno di essere risvegliato. Penso a Maria Maddalena de Pazzi che, nel Cinquecento, proclamava che l’amore non è amato e non temeva di suonare le campane del suo monastero cittadino per risvegliare il nostro mondo che dimentica Dio. Questo credo sia il nostro compito…
La vita monastica è profetica. La profezia però non è una cosa che “facciamo” noi! E’ lo Spirito Santo che ci usa e passa per le nostra fragilità per dire qualcosa al mondo, per svelargli la presenza di Cristo.
La profezia è ribadire il primato di Dio?
Si, l’amore di Dio, e quindi il suo primato. Occorre gridare con la vita, senza stancarsi, la tenerezza di Dio. Il nostro Libro di vitacomincia con una parola che è un po’ come la chiave di sol di tutto lo spartito: “Ama ! Accogli con tutto te stesso l’amore con il quale Dio ti ama per primo.” Questo va gridato sui tetti !