Lettera alla tribù bianca. Il grido di Alex Zanotelli
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Dai “sotterranei della storia” di Korogocho al rione popolare La Sanità di Napoli per testimoniare
Per testimoniare, nell’opulento nord come nel depredato sud del mondo, la tenerezza di Dio che ha il volto della condivisione e dell’accoglienza.
Testimone tenace
E’ questa l’ultima, tenace, scelta di padre Alex Zanotelli, una delle figure più carismatiche del cattolicesimo italiano. Nelle scorse settimane, per Feltrinelli, ha pubblicato “Lettera alla Tribù Bianca”. Dove racconta la sua vita e le scelte fondamentali: missionario comboniano, gli studi di teologia a Cincinnati (Usa), l’insegnamento in Sudan, poco lontano da Khartoum, l’apprendimento dell’arabo e l’incontro con tanti mussulmani. Dopo otto anni viene allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa loro difesa. Tornato in Italia, gli viene offerta, nel 1978, la direzione della rivista Nigrizia e contribuisce a renderla sempre più un mensile di informazione, nel solco di una tradizione avviata nel 1883 e consolidatasi a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso.
Il suo programma di lavoro è ben chiaro fin dall’inizio:
Essere al servizio dell’Africa, in particolare ‘voce dei senza voce’, per una critica radicale al sistema politico-economico del nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi”.
Direttore di “Nigrizia”, Africa, Napoli
Per quasi dieci anni, Zanotelli ha saputo prendere posizioni precise e imporsi all’opinione pubblica italiana. Affronta i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo affaristica e lottizzata, dell’apartheid sudafricano. E’ stato anche tra i fondatori del movimento “Beati i costruttori di pace“, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli. Nel 1987 – su richiesta di esponenti politici e vaticani – Alex Zanotelli lascia la direzione di Nigrizia. Ma la sua eredità culturale, raccolta dai successivi direttori e redattori, continua a manifestarsi anche oggi.
Per dodici anni ha poi vissuto come missionario a Korogocho, una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya. Rientrato in Italia nel 2001, vive da allora al rione Sanità di Napoli, con l’obiettivo di sempre: “Aiutare la gente a rialzarsi, a riacquistare fiducia”. In una delle zone a maggiore concentrazione mafiosa del Paese, padre Alex condivide la vita con padre Archadio Sicher, un francescano e con Felicetta Parisi, laica consacrata, pediatra in pensione. E da lì non smette di far sentire la sua voce critica: contro l’aumento delle spese militari, contro la privatizzazione dell’acqua, a sostegno di una politica di accoglienza, per un Paese più inclusivo e solidale. In nome del Vangelo.
Una lettera scritta durante il lockdown
Ed è anche il senso di questa lunga lettera, scritta nel tempo del lockdown dovuto alla pandemia. Una lettera che è dedicata ai suoi maestri, “i baraccati di Korogocho”. Da lì, “alla scuola degli impoveriti”, ha imparato a leggere in profondità la storia e a comprendere meglio la vicenda cristiana.
La mia scelta a Korogocho fu proprio il mondo degli ‘scarti’: i raccoglitori di rifiuti, i ragazzini e le ragazzine di strada, le bande di ladruncoli, i tanti malati di Aids e le giovanissime che andavano in città a prostituirsi.
Per arrivare alla scoperta che il Dio di Gesù di Nazareth non è il Dio onnipotente ch risolve tutto ma il Dio tenero, debole, che cammina con quanti fanno più fatica, piange con loro. Sulla scia del Dio biblico che sente la sofferenza inflitta agli oppressi e scende a liberarli. E il suo silenzio – a volte così provocatorio – obbliga ciascuno di noi a riprendere in mano le nostre responsabilità.
Inviato a convertire la “tribù bianca”
Proprio il popolo di Korogocho ha rispedito padre Alex a convertire la sua “tribù bianca”. Perché “se oggi viviamo in un pianeta di immense folle di impoveriti, la responsabilità è in gran parte della tribù bianca”.
Il libro diventa allora il racconto delle contraddizioni del nostro mondo: dalla fame di oro che dalla colonizzazione in poi (giustificata in nome del suprematismo bianco e del razzismo) ha tolto ricchezza e dignità ai popoli del Sud del mondo fino all’idolatria del mercato che produce incessantemente una cultura dello scarto. Degli uomini anzitutto ma anche della terra. E, insieme, una politica che disinvoltamente sostiene – nonostante i principi proclamati – un sistema di disuguaglianze, di diritti negati, di disprezzo di quanti cercano approdi di futuro e di dignità. La stessa politica del disimpegno nei confronti di una crisi climatica che coincide sempre più con un atto di violenza globale.
La Chiesa. Papa Francesco
Padre Alex mette in luce il silenzio e la complicità delle Chiese, la loro fatica a fare i conti con l’altro, la tentazione di ridursi a religione civile, la nostalgia per la cristianità perduta. Insieme, però, fa emergere la forza di papa Francesco che, in nome del Vangelo, chiede alla comunità cristiana di ridiventare segno del Regno che viene, come la voleva Gesù Cristo.
Una Chiesa povera, a fianco degli ultimi, capace di urlare il dolore dell’umanità. E proprio per questo disposta a essere emarginata e perseguitata.
“Scrivo a te, giovane”
Insomma, un testo che provoca e disturba, che merita di essere letto e che termina con una splendida lettera “…a voi giovani”
“Per questo scrivo a te, giovane!
Hai un ruolo unico e fondamentale in questo momento storico dove si gioca la sopravvivenza della vita stessa umana su questo pianeta.
Giovane, non far parte di quella schiera di chi ha già alzato bandiera bianca, pensando che non puoi far nulla: hai invece un potere enorme.
Non piegarti a questo sistema, ma impegnati a cambiarlo.
Non lasciarti paralizzare dalla paura, ma reagisci con coraggio.
Non stare in silenzio, ma alzati ed esci di casa, unisciti agli altri, scendi in piazza per chiedere al potere di cambiare rotta.
E ti assicuro che la vita vissuta coltivando il sogno di rendere felice l’umanità è bella.
E’ affascinante quando te la giochi per l’”altro”, per il bene comune, per un mondo più fraterno.
E ti confesso che nella mia vita data, donata agli impoveriti, agli emarginati, ho sperimentato la gioia di vivere.
Abbiate il coraggio di indignarvi, di ripensare e di reinventare tutto per far sbocciare un mondo più umano.
Ora tocca a te, giovane, umanizzare l’uomo!”