Le interviste di EducAttivi-Garanzia Giovani: Matilde
Quando un anno e mezzo fa andai a chiedere a una mia professoressa universitaria, esperta di letteratura contemporanea, di diventare la mia relatrice, lei, visto il mio curriculum, mi chiese se fossi interessata a svolgere un dottorato di ricerca presso l’università di Pavia per proseguire gli studi avviati con la tesi. Confesso che ci ho pensato. Sì, ci ho pensato qualcosa tipo cinque minuti! Ho invece gentilmente declinato l’offerta, non senza un certo stupore e disappunto da parte della professoressa, disappunto che lei non mancò di farmi notare quando la incontrai per caso qualche mese dopo. Difficile infatti che il motivo della mia rinuncia potesse essere pienamente compreso da una donna che con spalle larghe aveva intrapreso la propria carriera accademica ancora in anni dove le donne, sì, studiavano, ma oltre certi livelli venivano bloccate, ostacolate, boicottate.
Io però ho scelto di non chiudermi nella – meravigliosa, per carità! – Saletta Classici della torre di Filologia dell’Università di Pavia. Scegliendo di svolgere il mio servizio civile presso la sede ENAIP di Pavia, ho preferito mettermi in gioco con ragazzi che l’ambiente accademico lo schifano come fosse la peste. Uno di loro un giorno mi ha raccontato che lui non è mai neppure passato attraverso uno dei cortili dell’università per prendere scorciatoie, come è abitudine di ogni buon pavese, perché chi passa la vita a studiare dev’essere per forza un malato mentale, e poi quelli ti guardano male. Beh, come dargli torto! Non sulla “malattia mentale”, naturalmente, ma sul fatto che noi laureati, spesso, siamo proprio antipatici e spocchiosi. Ho detto a quel ragazzo di non farci caso perché nessuno merita di essere guardato con sufficienza.
Del resto, intendiamoci: l’intellettuale è una figura portante della società, ci mancherebbe, ma non lo è forse anche il lavoratore manuale? Va bene, forse la visione di quel ragazzo è un po’ troppo semplicistica , ma di sicuro se fossero tutti come me i casi sarebbero due: o impariamo a riempirci con i libri anche la pancia, oppure moriamo di fame e viviamo in capanne (oltretutto instabili, data la mia leggendaria abilità manuale!) Siamo tutti nella stessa ruota che gira, in un cerchio senza primi, secondi o terzi classificati, siamo necessari gli uni agli altri, a maggior ragione in una società post-industriale e dei consumi come è la nostra.
E d’altra parte. È pur vero che questi ragazzi compiono un percorso di formazione professionale, ma non educhiamo futuri automi, non vogliamo certo contribuire ad aumentare la forbice culturale fra chi “sa” e chi “fa”. Ed è per questo che amo lavorare in ENAIP, anche per questo, almeno. Non sempre l’ambizione va a segno, diciamo la verità, ma mi piace continuare a sperare di poter contribuire alla formazione di una persona e non di un pezzo della catena di montaggio del sistema economico. Per questo si combatte la dispersione scolastica: dispersione scolastica significa difficoltà a trovare un lavoro per via delle competenze troppo basse o addirittura inesistenti, la difficoltà a trovare un lavoro si tramuta in crescita della disoccupazione, che – specie in casi di persone di provenienza sociale e culturale disagiata – rischia di diventare a sua volta un incentivo alla delinquenza. È un circolo vizioso a cui bisogna cercare di mettere fine.
E poi, quanto è stimolante lavorare con chi ha bisogno, con chi ha solo la scuola, che gli piaccia o no, come unico riferimento? Il mio migliore amico non ha mai digerito la mia scelta di declinare l’offerta di un dottorato. Non fa che ripetere che avrei certamente saputo portare la mia visone della vita in un ambito culturale gratificante, che i colori che vedo fuori dalla finestra li avrei portati anche dentro e avrei arricchito me e gli altri svolgendo ricerche intellettualmente stimolanti. Io gli voglio bene, ma, secondo me, non ha capito niente! La vita è fatta di scelte e questa è stata la mia prima scelta davvero importante (ne sono seguite altre, e non credo sia un caso che siano, appunto, seguite e non precedute: ho scelto la mia strada e da lì mi sono incamminata). Ho voluto dedicarmi a chi ritengo abbia bisogno e l’ho fatto, soprattutto, perché questi ragazzi arricchiscono a loro volta anche me: mi hanno sbattuto in faccia le sfumature del mondo, e scusate se è poco.