La guerra e i testimoni di pace. Don Tonino Bello il “contemplattivo”
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Ci sono uomini e donne che rendono autentica e appassionante la vicenda cristiana. Don Tonino Bello per me è stato indiscutibilmente uno di questi
Ricordo ancora in modo netto la sera della vigilia di Natale del 1992 quando che mi chiamò al telefono. Rispose Renata, mia moglie, e me lo passò. Don Tonino Bello mi disse che era da poco tornato da Sarajevo, insieme ai cinquecento costruttori di pace che sfidarono e ruppero l’assedio. Non stava bene ma voleva rincuorarmi dicendomi che avrebbe mandato presto le risposte per l’intervista che gli avevo chiesto. Parole di tenerezza e un gesto straordinario di attenzione.
Mi sono recato più volte sulla sua tomba, ad Alessano, un paese salentino sulla punta estrema del tacco d’Italia. Ho avuto il dono dell’amicizia prima con Marcello, il fratello di don Tonino, e ora con Stefano, il nipote.
Soprattutto, ho avuto il dono dell’incontro con un credente che ha avuto il coraggio del vangelo. Quando gli chiesi se non gli dava fastidio essere considerato un vescovo “anomalo” mi rispose di no. E’ che “bisogna poi vedere che cosa significa essere anomalo. Introdurre in casa i poveri per farli dormire d’inverno, è anomalo per un vescovo, o non è anomalo il contrario?”
La spiritualità “contemplattiva” di don Tonino
Scendo di nuovo ad ad Alessano, e mi fermo al cimitero davanti alla sua tomba, posta al centro di un piccolo anfiteatro chiuso da una quinta di cipressi e tamerici. Resto colpito dal ricordo vivissimo che a distanza di quasi ventinove anni dalla morte, avvenuta il 20 aprile del 1993, molti hanno ancora di lui. Vedo giovani che lo hanno conosciuto solo attraverso i suoi scritti, gruppi di scout e di parrocchie lontane che vengono a pregare e a deporre un fiore.
Accanto alla tomba è piantato un ulivo, simbolo della pace. Perché per tutti don Tonino è stato l’uomo della pace. Chiamato nel 1995 alla guida di Pax Christi, seppe con una delle sue originali intuizioni linguistiche tracciare le linee per una spiritualità impastata con la terra definendola “contemplattiva”.
La beatitudine evangelica degli operatori di pace diventa ben presto il discrimine per valutare e promuovere azioni concrete, mai approssimate, sempre frutto di una lettura attenta della realtà: la lotta contro il trasferimento degli F16 in Puglia, la scelta dell’obiezione fiscale alle spese militari, la denuncia della militarizzazione crescente della sua regione. Ancora: la sua appassionata adesione al cartello “Contro i mercanti di morte” che portò nel 1990 all’approvazione della Legge 185 che regola in maniera restrittiva e democratica il commercio delle armi italiane. Per arrivare alle laceranti polemiche sulla guerra del Golfo del 1991 che gli procurarono ferite e incomprensioni.
L’ultimo gesto, intriso della “follia evangelica”, lo ha visto a capo dell’ “Onu dei poveri”, 500 uomini e donne, entrati, due settimane prima del Natale del 1992, nella città di Sarajevo assediata dai militari e zeppa di cecchini pronti a sparare dalle finestre.
Parlando in un cinema senza luce elettrica e con la voce minata dal male che poco tempo dopo l’avrebbe consumato, proprio a Sarajevo, così descriveva alcuni incontri casuali:
Ricordo il gesto di una donna serba che offre il pranzo a dieci croati… Ricordo un signore che ci ha invitato a partecipare al banchetto per la commemorazione del padre. Ci ha detto: “Io sono serbo, mia moglie è croata, queste sono le mie cognate musulmane”. Mangiavamo insieme. Io ho pensato alla convivialità delle differenze: questa è la pace”.
La fede di don Tonino
Don Tonino, uomo di profezia, è stato soprattutto un uomo di fede. Quando in un’intervista che gli feci qualche mese prima della morte, gli domandai quale immagine di Dio avesse. Mi rispose con una tenerezza che mi commosse:
Mio padre io non lo ricordo. So che piangevo in segreto quando vedevo i miei compagni delle elementari accompagnati dal loro papà. Capisco che è un travisamento: ma Dio me lo sento così. Come un padre dolcissimo, col quale non è difficile confidarmi. Come un partner di cui non bisogna avere paura. Come un compagno affettuoso che al meriggio scende, come nell’Eden, a farsi una passeggiata con me. Sento di non aver soggezione di lui.
Anche quando sbaglio, mi sembra più facile chiedergli scusa con un sorriso d’implorazione che con un percotimento di petto. Me lo sento vicino, comunque, tantissimo. Devo, però, dire che spesso mi dimentico di lui, e me ne dispiace, soprattutto quando la sera mi addormento. Ma lo chiamo ugualmente: tanto sono certo del suo perdono.”
Era proprio in nome della fedeltà a questo Dio che egli rintracciava il Suo volto dentro i volti dei crocefissi della storia, nelle rughe di coloro che subiscono violenza e ingiustizia.
E reclamava, per i cristiani, il diritto alla parola e alla denuncia, contro ogni silenzio e indifferenza. Per questo la scelta della pace, per i cristiani, non poteva essere un optional ma un imperativo, un impegno solenne.
A dire il vero, dovremmo essere più audaci come Chiesa. Il Signore ci ha messo sulla bocca parole roventi: ma noi spesso le annacquiamo con il nostro buon senso. Ci ha costituiti sentinelle del mattino, annunciatori cioè dei cieli nuovi e delle terre nuove che irrompono, e invece annunciamo cose scontate, che non danno brividi, che non provocano rinnovamento. Spesso ci adattiamo alla corrente… del Golfo.
La profezia cristiana
Nell’intervista che ebbi il dono di fargli mi disse:
Chi ama la pace, ha il coraggio di tirare fino in fondo le conseguenze di certe verità. Non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti. Non ammorbidisce la profezia con i trucchi diplomatici, pur di non recare dispiacere a qualcuno. Mette il dito sulla piaga dell’ingiustizia, senza spaventarsi delle ritorsioni.
Non si tira indietro se deve dire che la logica delle crescenti spese militari cozza contro quella del Vangelo. Non avalla con i suoi complici silenzi lo sterminio per fame di popoli interi. Non si copre dietro gli scudi della prudenza per coprire la follia degli scudi stellari.
Non teme il rischio dell’impopolarità se denuncia fino alla noia le tragiche aritmetiche della miseria, dei debiti del terzo mondo, della confusa dei diritti umani, della corsa assurda al riarmo atomico che sta preparando l’olocausto planetario. E fa tutto questo non per calcolo politico ma perchè sa che ogni uomo, di qualunque colore e appartenenza, porta con sè un frammento di Dio.