La difficile stagione dell’Europa nell’epoca delle sfide continentali
Le celebrazioni per la Festa dell’Europa, istituita a Milano nell’85, e le manifestazioni per i settant’anni dalla fine della seconda Guerra mondiale, con le tensioni fra l’Occidente e la Russia per la vicenda ucraina, costringono a riaprire la riflessione e il dibattito sul futuro dell’Unione europea, in crisi di consenso e popolarità fra i cittadini tentati da spinte populiste e secessioniste nella crisi mondiale che ha generato squilibri, disoccupazione e povertà.
L’impatto della globalizzazione e le conseguenze delle politiche di austerità, con le desertificazioni territoriali prodotte dalle delocalizzazioni industriali e le tensioni sociali indotte dalle ondate migratorie, stanno alimentando un diffuso euroscetticismo con pressioni sui governi nazionali per il recupero della sovranità nelle politiche dello sviluppo e del lavoro.
Lo stallo nel processo di integrazione politica europea, evidenziato dalla incapacità di affrontare solidaristicamente la crisi greca e l’accoglienza dei migranti nel Mediterraneo, rischia di far emergere gli interessi divergenti delle diverse nazioni in economia, nella politica estera di difesa e nella cooperazione internazionale, con l’evidente conseguenza di rendere più difficile l’azione comunitaria per sopravvivere alle sfide epocali del millennio.
Se la pace in Europa e nel mondo non è garantita nel tempo senza l’attività quotidiana di riconciliazione e di mediazione diplomatica dei conflitti, è indispensabile riscoprire il ruolo dell’Unione europea nello scenario planetario, per riprendere il cammino interrotto di dialogo con gli altri continenti e superare gli squilibri e l’attuale “disordine” nei rapporti internazionali.
La sopravvivenza del progetto unitario dell’Unione, di fronte alle crescenti spinte dei risorgenti nazionalismi, oltre che degli egoismi dei governanti e dei cittadini, fra sicurezza e pace, si deve fondare sui negoziati di adesione, sui rapporti di vicinato e sui diritti d’asilo e d’accoglienza, per evitare la tentazione dell’autosufficienza in un mondo senza confini, con interdipendenze inevitabili nella ricerca delle vie d’uscita dai conflitti e dalla crisi economica.
Dopo il semestre della Presidenza italiana dell’Unione, che ha tentato di far superare l’ossessione dell’austerità e dei patti di stabilità, con l’introduzione delle clausole di flessibilità per le riforme e gli investimenti sociali, nella prospettiva di uscire dalla recessione che ha colpito l’eurozona, lo sguardo si deve allargare alle politiche ambientali e al Mediterraneo, crocevia di continenti, dall’Africa al Medio Oriente, dall’altra Europa all’Asia.
Nel convegno dell’Ispi sulla visione italiana per il futuro dell’Europa, con particolare attenzione al mito della federazione europea, si è rilevata una mancanza di proiezione strategica dell’Unione a livello mondiale, mentre è cresciuta l’insofferenza per i vincoli e le interferenze sulla sovranità nazionale che rischiano di rendere l’opinione pubblica sempre meno europeista e più perplessa sui vantaggi dell’appartenenza alla comunità continentale.
Se non si può fare a meno dell’Europa, le scelte economiche e finanziarie devono riuscire ad attirare gli investimenti esteri e a far ripartire lo sviluppo per evitare la decadenza e difendere i posti di lavoro, con progetti condivisi di riequilibrio territoriale e di protezione sociale, di rilancio dell’imprenditorialità e della ricerca per poter affrontare la competitività internazionale, con l’obiettivo della crescita e della solidarietà fra le nazioni, per uscire dalla spirale della stagnazione e della disoccupazione.
Per evitare l’uscita della Grecia dall’eurozona e il referendum della Gran Bretagna sull’adesione all’Unione, la Commissione e il Parlamento europeo devono aggiornare i Trattati e avviare il processo di integrazione politica con il coinvolgimento dei cittadini, senza tuttavia mettere in discussione la libera circolazione delle persone e il dovere della condivisione comunitaria delle emergenze umanitarie e sociali, dalle immigrazioni agli investimenti produttivi.
L’Europa è in bilico fra la gestione intergovernativa e le tendenze federaliste, con spinte regionali secessioniste e rivendicazioni nazionaliste che evidenziano un diffuso malessere sociale, causato dalle conseguenze della crisi mondiale, ma anche dagli squilibri di potere nell’Unione che portano a scelte discutibili per il risanamento dei bilanci e la riduzione dei debiti accumulati nel tempo.
La nostalgia delle sovranità nazionali è ormai anacronistica in un mondo in veloce trasformazione per la globalizzazione e la rivoluzione informatica, con l’emersione di nuovi Paesi e continenti che stanno diventando protagonisti negli scambi internazionali e negli equilibri geopolitici, in uno scenario multipolare lacerato da conflitti e migrazioni incontrollate.
L’Europa deve essere abitata e condivisa con la passione di una riconciliazione che può diventare fondante di una nuova stagione di collaborazione transfrontaliera, per vincere l’euroscetticismo con progetti di rilancio dello sviluppo da realizzare con il coinvolgimento delle nuove generazioni e dei cittadini europei nell’ottica della casa comune, in dialogo con le popolazioni di altre nazioni che si attendono accoglienza e solidarietà.
L’Italia potrà riuscire ad essere più incisiva nell’Unione europea se dimostrerà di saper varare riforme coerenti con le sfide della modernità e della centralità dei diritti di cittadinanza, nell’elaborazione delle riforme istituzionali, economiche e sociali, per superare le ingiustizie e le disuguagliane che alimentano i conflitti e impediscono il rilancio dell’occupazione, condizione indispensabile alla ripresa delle attività produttive.
Giovanni Garuti