Istanbul. Istantanee di una Chiesa
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Un’antica terra cristiana. Una piccola Chiesa, oggi
Se il cristianesimo è nato in Terrasanta, la sua strutturazione storica, teologica e dogmatica – in particolare sulla Trinità e la cristologia – è avvenuta soprattutto nel territorio dell’attuale Turchia, terra di Paolo ma anche, secondo la tradizione, dell’evangelista Luca.
Dagli splendori degli inizi alla povertà di oggi
Qui è stata elaborata una prassi cristiana di straordinaria importanza. Qui si sono tenuti tutti i primi sette Concili ecumenici ancor oggi riconosciuti da cattolici e da ortodossi; dal primo della serie, Nicea I (325), a Costantinopoli I (381), a Efeso (431), a Calcedonia (451) fino al Nicea (787) che risolve, in modo definito, la controversia legata alla liceità e all’uso delle immagini.
Oggi in Turchia la popolazione supera gli 80 milioni ed è nella quasi totalità musulmana. Della residua minoranza cristiana fanno parte circa 60.000 armeni ortodossi, 25.000 cattolici, 10.000 siro ortodossi, meno di 3.000 greco ortodossi appartenenti al patriarcato di Costantinopoli e 3.000 protestanti di varie denominazioni. Un caleidoscopio di chiese e di riti che rende evidente la consapevolezza dell’assoluta marginalità nella quale i cristiani oggi si trovano.
E’ paradossale come l’identificazione dell’idea di nazione con l’appartenenza confessionale, come suggeriva il sistema ottomano del millet, abbia portato a collegare l’identità turca esclusivamente al riferimento culturale musulmano anche se da un punto di vista politico il nuovo Stato voluto da Atatürk si definisce laico. I cristiani, agli inizi del Novecento – terribile secolo dei nazionalismi – pedine tradite di un gioco terminato male, pagheranno un dazio carissimo a questa svolta storica. Il risultato è statisticamente impressionante: secoli di storia multi-confessionale spazzati in dieci anni, tra il 1914 e il 1924, data della proclamazione della Repubblica turca. Giusto per terminare con i numeri: agli inizi del Novecento i cristiani erano il trenta per cento della popolazione.
Come stare da cristiani in terra mussulmana?
Chi vive la fede cristiana in terra turca cerca, da un lato, una vera condizione di cittadinanza nazionale e dunque d’uguaglianza di diritti. Dall’altro, se può, emigra o progetta di farlo per cause molteplici sia d’ordine socio-politico sia economico.
L’articolo 24 della Costituzione del 7 novembre 1982 che sancisce la libertà di coscienza, di credo e di convinzioni religiose, si pone su un piano individuale, ma non riguarda i diritti della collettività delle comunità religiose. Per questi ultimi, la base giuridica continua a essere il Trattato di Losanna del 1923, fino ad oggi, sempre applicato in modo restrittivo alle sole minoranze armeno-ortodossa, greco-ortodossa ed ebrea, minoranze sottoposte per questo al controllo della Presidenza degli Affari Religiosi (Diyanet).
I cattolici latini sono stranieri senza il minimo statuto e personalità giuridici
I cattolici latini sono stranieri senza il minimo statuto e personalità giuridici: ciò rende impossibile la proprietà degli immobili e la gestione delle strutture ecclesiastiche. In assenza di qualsiasi tipo di sovvenzione statale bisogna cercare di sopravvivere autonomamente e anche finanziariamente. Oltre a mancare di un riconoscimento giuridico, infatti, tali minoranze sono impedite di costruire e persino di restaurare i luoghi di culto, di aprire scuole. Ai cristiani, nella laica Turchia, può capitare che per opportunità talune cariche e professioni, in particolare le militari, siano difficili da esercitare.
Nonostante tutto, qua e là, in modo molto discreto, crescono i “cripto cristiani”, donne e uomini che scelgono la fede in Gesù. Spesso la tengono nascosta sia sul luogo di lavoro che agli stessi familiari. A uno stretto controllo non sfuggono del resto nemmeno le comunità musulmane: tutte le moschee sono di proprietà dello stato.
Avere il cuore spalancato
Durante il viaggio abbiamo avuto il dono di incontrare alcuni cristiani. “Siamo una minoranza, una comunità piccola: tra noi ci si conosce tutti ed è ordinario incontrare il vescovo. Siamo pochi e non abbiamo altra chance che essere, pur nelle differenze della storia, uniti dalla fede in Gesù, altrimenti siamo finiti. In tutti noi è forte la consapevolezza di essere eredi di una grande tradizione storica. Qui in terra turca, ad Antiochia, siamo stati chiamati per la prima volta ‘cristiani’. Qualche volta vedo il pericolo di rimanere chiusi in noi stessi e di rinchiuderci nel fortino assediato. Capisco le ragioni e conosco le paure. Eppure siamo protetti dal Signore, accompagnati, pur dentro le difficoltà, da una grazia immensa.”
“D’altronde – mi dice un altro – anche i mussulmani sono molto diversi tra loro. E’ la nostra poca conoscenza che ce li fa riconoscere solo come un blocco monolitico.”
Anche dentro il mondo mussulmano ci sono grandi differenze
Gli chiedo di raccontarmi questa differenza. “Te la potrei riassumere in questo modo. Ci sono i mussulmani tradizionali che sono conservatori della loro tradizione. Tengono alla loro religione, alle leggi e alle regole. Non sono pochi, forse sono la maggioranza. Non sono quelli che in Occidente chiamate ‘islamici’. No, sono mussulmani conservatori come ce ne sono tra i cattolici. Un altro gruppo, anche questo numeroso, è credente ma laico. Chi ne fa parte, non ha né la volontà né la convinzione di seguire le regole. Queste due sono le due maggioranze del Paese. Poi vi sono i piccoli gruppi: coloro che non credono per niente (ma sono pochi) e un gruppo (che forse sta crescendo) che è fondamentalista, che rifiuta l’altro, che pur non usando la violenza è radicalista, non radicale.”
“La gran parte dei miei amici e delle mie amiche sono mussulmane. Sono cresciuta dovendo continuamente spiegare chi siamo e cosa facciamo. La sfida – ci ha detto un’altra persona – è di avere il cuore spalancato, rilanciare la fiducia tra le generazioni. Per la mia storia è stato molto importante l’incontro con una comunità mistica dell’islam. Il dialogo e il cammino fatto con il maestro di questa comunità è stato fondamentale. Per dieci anni ho frequentato in silenzio questi incontri settimanali e non mi è mai stato chiesto nulla in cambio. Non è cambiato l’idea dei mussulmani (che è sempre stata positiva) ma ho scoperto un’idea di l’Islam che non avevo. Percepire che mi sentivo molto piena di Dio dopo questi incontri è qualcosa che mi ha cambiato tanto.”
Ad alcuni di loro ho chiesto come va la trasmissione della fede ai giovani cristiani? “La gran parte di loro vive una lacerazione: il desiderio, profondo, di vivere la spiritualità e dall’altro il rifiuto di forme (anche liturgiche) che non parlano più alle giovani generazioni. C’è un linguaggio e un modo di celebrare che è molto disallineato rispetto alla vita dei più giovani. Siamo chiamati a ridire il senso profondo della fede cristiana. Che non può coincidere con le forme con cui lo abbiamo sempre esibito e raccontato. Mi pare che questo sia anche un vostro problema. O no?”.