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Israele, Palestina, la guerra. Intervista al card. Pierbattista Pizzaballa

Israele, Palestina, la guerra. Intervista al card. Pierbattista Pizzaballa

[di Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]

L’esplosione di violenza, nonostante i segnali che si intravedevano.
Ogni comunità non riesce a “vedere” l’altra. Il rischio di una religione troppo legata alla politica che rende impossibili compromessi e accordi.
Bisogna rimettere al centro la questione palestinese. Il dramma di Gaza


ll neo cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, resta una delle voci più autorevoli del Medio Oriente. Gli ho chiesto alcune riflessioni in ordine a quanto sta accadendo in Israele e Palestina.

Da tempo, più volte avevi avvertito del pericolo della violenza in aumento. Come mai, da una parte e dall’altra,  non si è voluto vedere ciò che era evidente a te e a tanti?

In Terra Santa abbiamo tutti un problema: ciascuno vede solamente la propria prospettiva e fa fatica a cogliere quella dell’altro. In questi giorni è ancora più evidente. Siamo talmente pieni di dolore da non trovare spazio per il dolore altrui. Siamo stati incapace di percepire i segnali – che già c’erano – di una crescita di violenza. Sia ben chiaro: nessuno si aspettava quello che è accaduto ma erano visibili i segnali di un deterioramento continuo della situazione. Forse a Gaza un po’ meno rispetto a quanto si capiva nei Territori. Poi naturalmente ci sono state le contingenze internazionali, gli Accordi che si sono firmati e altri che forse si sarebbero sottoscritti. Ma il motivo di fondo è che non si è voluto vedere. Si guarda con gli occhi secondo ciò che si ha nel cuore. Anche di fronte all’evidenza, ciascuno ha la sua interpretazione e qui si percepisce molto bene. Oramai siamo precipitati in questa situazione, sarà una grande fatica uscire. Quando succederà sarà molto difficile ricostruire un tessuto minimale di relazioni tra israeliani e palestinesi.

Come è possibile non lasciarsi accecare dall’odio. E’ possibile? 

Solo l’amore può liberarci dall’odio che riempie il cuore. Può essere un amore piccolo, l’amore per il vicino, qualunque cosa che ti porti fuori da te stesso, che ti apra gli occhi su una realtà diversa dalla tua personale, da quello che hai dentro. Soltanto questo. Serve una fede grande, soprattutto in questi momenti. Avere la capacità di alzare lo sguardo. Verso Dio – e qui lo dico naturalmente ai credenti – in modo che si abbia la possibilità di guardare gli altri con più libertà. In questo momento questo non c’è. È molto faticoso, non è semplice ma è l’unica via. 

A proposito di fede. Mi pare che la novità da qualche anno a questa parte è la coloritura sempre più religiosa di un conflitto che invece è politico. Ma se le fedi non aiutano ad entrare nella prospettiva che ora hai indicato è davvero un dramma nel dramma…

Non dobbiamo confondere fede e religione, sono due cose diverse. Fede e religione sono necessarie l’una all’altra. La fede senza religione è come l’anima senza il corpo ma la religione senza fede è come il corpo senza l’anima. Abbiamo bisogno di tutt’e due. Quello a cui stiamo assistendo è l’inquinamento dell’istituzione religiosa che si identifica con il nazionalismo di qualunque razza e colore creando una miscela esplosiva. L’ho ripetuto più volte perché è un rischio sempre molto presente in Medioriente e qui forse ancora di più. Il dialogo tra le fedi è necessario. Questo presuppone che ci sia fede, persone che abbiano fede. Ed è necessario perché il confronto con l’altro ti aiuta a rivedere, a illuminare da una prospettiva diversa la tua posizione, la tua esperienza di fede. Quello che è importante è che i testimoni di fede devono essere anche credibili. Una cosa che mi sento di dire è: basta con gli incontri interreligiosi fatti solo allo scopo di fotografie o di media. Abbiamo bisogno adesso di questi incontri sul territorio perché veramente arrivino là dove la gente vive i drammi e le speranze più vere.

“Non ci sarà pace senza rimettere al centro la questione palestinese”, così hai detto in una recente intervista. Cosa vuol oggi sostenere questo?

L’ho scritto nella Lettera Pastorale che ho pubblicato l’altro giorno (www.lpj.org): c’è un vulnus in Terra Santa ed è la questione palestinese. Dobbiamo dirlo: finchè non sarà data una sicura e chiara prospettiva nazionale al popolo palestinese non ci sarà stabilità. E la crisi che stiamo vivendo oggi, una cosa la dice in modo molto chiara e doloroso: i due popoli non possono vivere insieme. In questo momento sembra quasi un assurdo. Si dovranno trovare delle forme, almeno a breve e medio termine, in cui i due popoli possano vivere uno accanto all’altro. E’ chiaro che cinque milioni di palestinesi non se ne andranno e così vale anche per i sette milioni di ebrei. E’ chiaro che non riescono a stare insieme.  Quindi si devono trovare forme perchè questo vicinato sia possibile. Una pace pulita non esiste. Non bisogna confondere la pace con la vittoria sull’altro. La pace ha bisogno di compromessi e dunque ha bisogno di coraggio. Coraggio a perdere qualcosa per un bene più grande. Mi auguro che i leader religiosi e soprattutto i leader politici del futuro – perché avremo bisogno di nuovi volti – abbiano questo coraggio. 

Hai notizie della piccolissima comunità cristiana di Gaza, alla quale tu sei molto affezionato e che hai visitato più volte? 

Li conosco tutti, uno per uno. Sono stato nelle case di tutti e mi sono molto vicini.  Stanno fisicamente bene a parte la tragedia di qualche giorno fa con i 18 morti e i molti feriti (n.d.r. un bombardamento israeliano ha colpito la chiesa ortodossa di San Porfirio, la chiesa più antica a Gaza, costruita sul sito di un precedente edificio di culto risalente al V secolo). I cristiani sono ora riuniti nei due centri, ortodosso e cattolico, e vivono insieme in complessi non attrezzati e con le difficoltà che possiamo immaginare. C’è tensione ma sono determinati a restare in quella terra, confidano in Dio e, come ho detto molte volte, hanno una fede bella, forte, che non è scossa neanche dalle bombe.

Come se ne uscirà? Ci vorrà molto tempo, altre generazioni. E nel frattempo?

E’ vero, servirà molto tempo. Nel frattempo, dobbiamo cercare tutte le persone che ancora credono nella pace, tenerle vicine. Finita questa crisi avremo bisogno di loro.

 

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