Il Sinodo scomparso. Ancora due note
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
Del Sinodo di discute. Se ne è parlato anche all’assemblea del Clero di mercoledì 8 giugno. Si parla anche di quello che non si è fatto.
Il processo sinodale mette in gioco la capacità dei credenti di attraversare i confini, sempre più porosi, del sempre più stretto perimetro ecclesiale. In fondo, la fede chiede di prendere sul serio la vicenda umana, con le sue domande e i suoi problemi, intrecciando un dialogo profondo con tanti non credenti e diversamente credenti.
Capace di stare sulla soglia, cercando di comprendere, non nascondendosi mai di fronte ai problemi, lanciando ponti senza rinunciare alla fedeltà ai valori continuamente riscritti e ridetti con intelligenza, custodendo la fiducia come chiave di accoglienza dell’uomo del nostro tempo. Occorrono cristiani che laicamente, nella città di tutti, fanno dell’umano il laboratorio di verifica della loro fede.
E’ il tema – decisivo – dell’umanità del vangelo. Dentro le sfide del lavoro, della politica, della cultura. Di fronte ad una Chiesa spaventata dalla crisi in corso, preoccupata dei cambiamenti profondi che attraversano la società italiana, che scopre di non essere più la fontana del villaggio, la tentazione è quella dell’arroccamento e della chiusura.
Papa Francesco, sulla scia del Vaticano II, ha invece offerto la chiave per stare dentro questo tempo. Ha restituito ai cristiani lo sguardo utile per leggere il presente. Rimettendo al centro la Parola ha chiesto alla comunità cristiana di avere coraggio per guardare la crisi di questo nostro tempo ecoglierla come un’opportunità straordinaria per ridire l’unica cosa che i cristiani hanno di prezioso: l’umanità del Vangelo. Perché i cristiani sanno di non poter restare umani separandosi dalla storia. Perché il Dio di Gesù Cristo alla storia è legato per sempre. Il mondo è diventato la basilica dove scovare le tracce di Dio: non c’è altro posto. Occorre discernere, scegliere e custodire l’essenziale della fede cristiana. E guardare con coraggio i segni dei tempi dove Dio si fa trovare. Spesso, in luoghi lontani da come ce li eravamo immaginati.
Le associazioni e i movimenti ecclesiali – con più libertà di quanto non sono abituati a fare – devono accompagnare questo discernimento comunitario. La disabitudine a ricercare nella vicenda cristiana quelle tracce di senso che interpellano tutti gli uomini rischia di fare di questa fase iniziale di consultazione dal basso forse la più difficile di tutto il percorso sinodale.
Un problema di linguaggio
Mettersi in ascolto significa uscire all’autoreferenzialità in cui sostiamo. Nel discorso alla congregazione generale, alla vigilia dell’ultimo conclave, il cardinal Bergoglio disse che dobbiamo permettere a Cristo di uscire dai muri che gli abbiamo costruito intorno. Perché la pretesa della Chiesa è di tenere Gesù Cristo per sé, senza farlo uscire fuori. Come sostiene Andrea Grillo
un Cristo in uscita ha bisogno di una Chiesa con porte e finestre aperte, che lasci uscire lui ed entrare le vite. I nostri sono linguaggi sono vecchi, spesso disallineati con le vite e le parole delle persone che incrociamo. Un’asimmetria culturale prima ancora che linguistica. “Uscire dal tempio” obbliga a cogliere punti di vista e sfide che interpellano la comunità cristiana.
Il Sinodo: sperimentare oggi quello che saremo obbligati a fare domani
Il cammino sinodale diviene quindi un’occasione unica per un bagno di realismo, altrimenti si rischiano di immaginare architetture fuori dalla storia e dai contesti concreti e si impedisce di sperimentare oggi scelte che saranno da fare in un prossimo, immediato, domani.
Certo, il Sinodo obbligherà la barca della Chiesa a navigare in mare aperto. Con una convinzione: quello che stiamo vivendo non è la fine del cristianesimo ma di un certo cristianesimo.
Intanto noi siamo in mezzo al guado. La tentazione è di tornare indietro, verso lidi sicuri di un tempo. Peccato che non ci siano più, né i lidi né il tempo. Occorre dunque stare con coraggio e fiducia nel tempo presente. “Servire la vita dove la vita accade”, ha scritto il nostro vescovo Francesco. Quella vita che accade quasi mai dove decidiamo noi che debba essere. Ma dove, anche se fatichiamo a crederlo, c’è sempre profumo di Vangelo. Perché forse questo è il problema di fondo: manca alla Chiesa in Italia la postura spirituale per stare dentro la sfida del presente. Quando non c’è, è la paura che prende il sopravvento.