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Il messaggio di Papa Francesco: Il cristianesimo della gioia

Il messaggio di Papa Francesco: Il cristianesimo della gioia

[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana] 

Nostra intervista a don Armando Matteo, teologo

Sono passati dieci anni da quel 13 marzo del 2013,
quando Jorge Mario Bergoglio, “papa venuto dalla fine del mondo”,
venne eletto 266o successore di s. Pietro.
Ne parlano tutti. Ne vogliamo parlare anche noi,

semplicemente perché Papa Francesco e il suo pontificato ci interessa.
E godiamo nel vedere che non interessa solo a noi.

Don Armando Matteo è un teologo che merita di essere letto e ascoltato. Alcuni suoi libri (penso, in particolare, a “La prima generazione incredula” – 2009 –,  “La fuga delle quarantenni”– 2012 – “Tutti muoiono troppo giovani” – 2016 -, “Pastorale 4.0. Eclisse dell’adulto e trasmissione della fede alle nuove generazioni” -2020) hanno suscitato un grande dibattito e costituito materia di confronto, anche polarizzato, su temi altrimenti lasciati ai margini.

Già assistente della Fuci nazionale, docente di Teologia Fondamentale alla Pontifica Università Urbaniana di Roma, è stato nominato da Papa Francesco prima sottosegretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede e poi, dall’aprile 2022, segretario per la sezione dottrinale del medesimo Dicastero.

In queste settimane è in libreria con un nuovo libro il cui titolo – “Opzione Francesco. Per una nuova immaginazione del cristianesimo del futuro”, San Paolo 2023” – fa (volutamente?) il verso al testo, molto discusso, di Rod Dreher (L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo postcristiano, San Paolo 2018). Un libro che con coraggio immagina il futuro della Chiesa alla luce del magistero di papa Francesco. Per questo ci pare che una lunga chiacchierata con Armando Matteo sia il modo migliore per avviare il nostro dossier sui dieci anni di questo pontificato. 

Dieci anni di pontificato. Qual è il tuo giudizio?

Ritengo che siano stati anni davvero ricchi di stimoli e di prospettive per la vita della Chiesa, soprattutto in vista di quella nuova tappa evangelizzatrice che oggi ci tocca e che papa Francesco ci ha indicato sin dai tempi di Evangelii gaudium. Ovviamente, non si tratta di stimoli e di prospettive di impegno semplici. Siamo chiamati, infatti, ad una vera e propria “conversione pastorale”, con tutto il carico di implicazione che una tale espressione possiede, ed è forse per questa ragione che la risposta dei credenti e di molti pastori alle sollecitazioni papali è stata sinora a livello di minino sindacale. E corriamo il rischio di perdere ancora tempo prezioso, se non entriamo decisamente nella dinamica centrale del pontificato di Francesco.

Quali sono, a tuo avviso, le linee portanti e le scelte di questo pontificato che segneranno la chiesa del futuro?

Non ho dubbi al riguardo. Per papa Francesco al centro di tutto sta la riattivazione del carattere materno della comunità credente. Siamo qui per fare nuovi cristiani e nuove cristiane. Siamo qui per portare Gesù a tutti e tutti a Gesù. Siamo qui perché la fiaccola della fede continui a passare da generazione a generazione. Siamo qui per portare a chiunque la proposta di amicizia che Gesù fa e per incoraggiare, in chiunque, la risposta positiva a quella proposta di amicizia.

Tutto il resto che la comunità fa – anche in connessione con la sua lunga storia – ha senso solo se è correlato a questo scopo primario. In questo orizzonte, la costituzione Predicate Evangelium, con la quale si offre uno statuto nuovo alla Curia romana, è di una potenza e forza simboliche senza precedenti. 

Hai scritto recentemente un libro dal titolo “L’opzione Francesco” per sottolineare una proposta di cristianesimo significativo per l’uomo di questo tempo. Ce la puoi riassumere?

Per papa Francesco, come credenti, siamo chiamati ad accettare il dato per il quale noi cittadini occidentali di questo tempo viviamo il nostro essere al mondo in un modo che è milioni di volte differente rispetto a quello che ha caratterizzato la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni. Siamo in verità protagonisti di una sorta di salto evolutivo nella storia della specie, reso possibile dai cambiamenti culturali, scientifici, tecnologici, medici, economici e digitali degli ultimi decenni. Noi siamo gli esseri della libertà, della potenza, del godimento, del fare esperienza. Insomma, con la velocità della luce, siamo passati dalla valle di lacrime delle nostre mamme e dei nostri papà alla pianura dell’onnipresente sorriso di Amazon del nostro quotidiano.

Questo spostamento radicale intorno alla condizione elementare dell’essere al mondo, da parte del cittadino medio occidentale, manda in soffitta la pastorale del passato: quella pastorale che puntava ad offrire una visione e versione dell’esperienza cristiana sostanzialmente quale esperienza della consolazione e del contenimento dell’angoscia dell’essere venuti in un mondo che poneva – penso qui soprattutto agli adulti – più sfide che risorse, più occasioni di fatica che di gioia.

Per papa Francesco è tempo di riscoprire e centrare l’esperienza credente come esperienza di gioia

Ed è ecco, allora, il centro dell’opzione Francesco: passiamo all’altra riva, cambiamo pastorale. Per papa Francesco è tempo di riscoprire e centrare l’esperienza credente come esperienza di gioia, come esperienza di quella gioia che nasce dal dare spazio alla cura, alla prossimità, all’attenzione a che altri abbiamo gioia, contentezza, felicità.

È esperienza di quella gioia a cui ci apre l’incontro con Gesù, l’assimilazione del nostro sguardo e dei nostri sentimenti al suo sguardo e ai suoi sentimenti. Viene così in primo piano il grande tema della gioia di dare gioia, che può entrare in felice correlazione – contenendone pure gli eccessi individualistici provocati dall’assalto che ogni giorno subisce dalle astuzie della Ragione commerciale – con la nuova condizione degli uomini e delle donne di oggi.

Ne segue che, nell’epoca di Amazon, ci serve un cristianesimo della gioia, che riesca a far emergere e riattivare il carattere propriamente “samaritano” della specie: noi siamo addirittura capaci di perdere “tempo e denaro” per prestare attenzione a che altri viva bene. 

Eppure papa Francesco ha, dentro la Chiesa, un’opposizione fortissima. Come la giudichi e la interpreti?

La conversione pastorale a cui papa Francesco ci chiama non è operazione indolore. Egli stesso dice che abbiamo la necessità di trasfigurare ogni cosa, se davvero desideriamo rimettere al centro del nostro impegno pastorale la possibilità, per chiunque, di incontrarsi con Gesù e di lasciare scaturire in lui la potenza del carattere samaritano della specie.

“Conversione pastorale” significa davvero lasciar andare molto del passato e fare spazio a molto di nuovo nelle nostre attività pastorali. Significa ridurre drasticamente il numero di parrocchie (non fare unità pastorali), significa ridurre il numero di messe alla domenica, eliminare la messa prefestiva, abolire del tutto l’attuale sistema di feste di prima comunione e di cresima.

Cambiare ignifica ridurre drasticamente il numero di parrocchie (non fare unità pastorali), significa ridurre il numero di messe alla domenica, eliminare la messa prefestiva, abolire del tutto l’attuale sistema di feste di prima comunione e di cresima.

Ma significa pure trasformare lo spazio ecclesiale in luogo in cui si celebra la Parola, si leggono appassionatamente i vangeli con i bambini e con gli adolescenti, si iniziano al gesto preghiera i giovani e gli adulti, si offre a chiunque  la possibilità di un ascolto e di una confessione di vita, si vive la fraternità mistica, si opera nella carità (non nella caritas), si sperimenta un carattere di festa, che trova poi nella liturgia della bellezza e nella bellezza della liturgia il suo punto di massima accensione. In molte parrocchie mi è addirittura capitato di sentire ancora i canti della messa della mia prima comunione… e a volte esci da certe celebrazioni e ti chiedi se noi siamo credenti perché depressi o depressi perché credenti…

Di fronte a questa impresa (“trasfigurare ogni cosa”), si capisce bene sia la resistenza di chi, da una parte, non vuole mollare il presente, pur operando piccoli rattoppi, sia di chi, dall’altra, punta sull’usato sicuro del cristianesimo dei nostri genitori e dei nostri nonni. L’opzione Francesco richiede coraggio, il quale a sua volta richiede la riattivazione di quel sentimento di debito del Vangelo nei confronti di tutti che è la base del discepolato cristiano. Non siamo qui per salvarci e salvare il cristianesimo. Siamo qui per portare Gesù a tutti e tutti a Gesù.

Converrai che nella Chiesa non sembra facile rivedere i paradigmi. Come lavorare per rendere possibile oggi dentro le nostre affaticate comunità cristiane “l’opzione Francesco”?

La cosa è semplice: riprendiamo in mano l’Evangelii gaudium. È un manuale di pastorale applicata davvero all’altezza della situazione. In esso c’è tutto e c’è di più. Non dobbiamo pensare al futuro del cristianesimo. Dobbiamo mettere mano e cuore al cristianesimo del futuro, che, almeno in Occidente, è chiamato ad essere un cristianesimo dell’Evangelii gaudium.

Paura, risentimento, indietrismo. Sono questi tre ostacoli che tu segnali come forme di difesa nei confronti di questo pontificato…

Mi riferisco a ciò che definisco la “cattiva paura” come atteggiamento paralizzante rispetto a ciò che è nuovo e che ci sfida ad uscire dal ciò che è noto. Mi riferisco ancora al quel sentimento di vuoto conseguente alla perdita della posizione centrale che la Chiesa e la stessa fede aveva nell’immaginario diffuso sino a pochi anni fa e che rischia di farci diventare rancorosi rispetto alla storia. Ed infine mi riferisco alla tentazione di salvaguardare il cristianesimo nel nostro tempo, opponendosi frontalmente all’idea stessa di conversione pastorale.

Dobbiamo fare quello che i discepoli di Gesù hanno sempre fatto nel corso dei secoli: cambiare

In verità, dobbiamo storicizzare la crisi che oggi attraversiamo – che è una crisi di denatalità ecclesiale – e fare quello che i discepoli di Gesù hanno sempre fatto nel corso dei secoli: cambiare. Cambiare i modi con cui portare la bella notizia del Vangelo agli uomini e alle donne della generazione alla quale essi facevano parte, quando i metodi ereditati allo scopo risultavano essere oltre la soglia minima di efficienza. Facciamo, allora, spazio al sentimento di debito di Vangelo nei confronti di tutti e non avremo più paura di cambiare, saremo in grado di superare il risentimento e ci sentiremo ripetere le parole di Gesù che ci promettono di fare, insieme con lui, cose più grandi di quelle che egli stesso ha compiuto.

Come pensi sarà ricordato papa Francesco?

È ancora presto per questa domanda. Il nostro è il tempo di dare compimento alle prime parole che egli ci disse, il giorno della sua elezione. Le parole di incoraggiamento a camminare insieme, pastore e popolo. Ecco: papa Francesco ha fatto tanta strada, ha aperto tanti sentieri, ha illuminato numerosi cammini. È tempo che come credenti ci diamo una mossa. Camminiamo, finalmente insieme, popolo e pastore!

 

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