Il buon samaritano nell’arte
[Daniele Rocchetti, delegato regionale alla vita cristiana]
La Bibbia, nell’insieme variegatissimo dei libri che la compongono, dalla Genesi all’Apocalisse, costituisce un gigantesco repertorio di archetipi, simboli, miti e storie che ha profondamente plasmato il nostro immaginario. La possiamo vedere come una sorta di grembo sempre fecondo senza il quale due millenni della nostra cultura non sono minimamente decifrabili. Un immenso vocabolario, una grammatica dell’umano in tutte le sue espressioni, che ha mostrato, e mostra ancora oggi, una straordinaria capacità generativa e culturale.
Non a caso, quarant’anni fa, il critico letterario canadese Northrop Frye parlando della Bibbia e della sua influenze nella cultura occidentale ha coniato il termine, spesso abusato, di “Grande Codice”.
Pregevole dunque l’impegno della casa editrice AVE di avviare una Collana – Imago – diretta da Pietro Pisarra, autore di quello splendido e raffinato divertissement che è “La mosca nel quadro. L’arte svelata (Roma, Ave, 2021, pp.416, euro 34).
In questa Collana – che ha l’intento di mostrare l’intreccio virtuoso e circolare tra spiritualità cristiana e immagini – viene ora pubblicato un nuovo testo che merita di essere letto: Il buon samaritano nell’arte (Roma, Ave, 2022, pp.124, euro 19). Un testo ben fatto, corredato da numerose riproduzioni artistiche e che, con sapienza, mostra come la parabola, una delle più conosciute, abbia provocato – cambiando a volte anche di segno – la vita e la coscienza credente nel corso della storia. A scrivere il libro è Paola Springhetti, giornalista e docente di Giornalismo alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana. Paola ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Perché un libro come questo? Cosa l’ha spinta a scriverlo?
Non sono una storica dell’arte, ma semplicemente una persona a cui piace guardare le immagini. Essendo per forza di cose costruite a partire da un punto di vista, ci raccontano storie interessanti e spesso provocanti. Se poi paragoni tra di loro quelle che ruotano attorno allo stesso tema, puoi davvero scoprire cose che non avevi mai pensato o, meglio, “visto”. Qui, poi, parliamo di opere d’arte, e quindi di immagini in cui si sedimentano diversi strati: quello del racconto originale a cui ci si ispira, quello della libera creatività individuale, quello della sensibilità di un’epoca e di un luogo in cui l’artista è immerso, quello degli obiettivi del committente, quello della tecnica usata e così via… La parabola del Buon Samaritano è una delle più conosciute e popolari, eppure le opere d’arte hanno molto da dirci su di essa…
Lei mostra come la comprensione teologica della parabola, e dunque anche quella artistica, è cambiata nel corso del tempo. Ce la può spiegare?
Il percorso che propongo nel “Buon Samaritano nell’arte” parte dalle grandi vetrate gotiche delle cattedrali francesi. Qui viene proposta l’interpretazione cristologica della parabola: detto in parole povere, significa che nel Buon Samaritano si vede Gesù che si china sull’uomo ferito dal peccato e lo salva. È un’interpretazione che risale all’inizio del cristianesimo e che poi è stata affiancata, direi anche surclassata, dall’interpretazione morale, che vede nel Buon samaritano un esempio di altruismo che ogni cristiano è chiamato ad imitare. In entrambe le interpretazioni, comunque, stiamo parlando di amore: quello di Dio per l’uomo, quello dell’uomo per i suoi fratelli.
Oggi l’arte contemporanea non si sottrae dalla sfida di rappresentare il testo. Come lo fa?
Generalmente si muove sul filo della seconda interpretazione, cercando di attualizzare visivamente la scena principale del racconto: quella in cui il Buon samaritano si china sull’uomo ferito e abbandonato. C’è chi ambienta la scena nelle periferie urbane o in un campo rom, chi rappresenta il Samaritano con tratti afroamericani o come una donna. L’altra scena che sembra affascinare gli artisti è quella del dottore e del levita che passano accanto al ferito e lo ignorano: anche questa viene provocatoriamente attualizzata, ad esempio Adrian Wiszniewski li “incarna” in un gruppo di eleganti giovani rampanti in carriera.
Qual è l’opera, tra le tantissime che mostra nel testo, che è più in sintonia con la sua interpretazione della parabola?
Ce ne sono molte che mi piacciono, ma forse quella che in questa ricerca mi ha colpito di più è un olio che Daniel Bonnel ha dipinto nel ’96: “The Good Samaritana at the door of the Inn”. Mi piace perché ribalta il punto di vista: mentre gli altri artisti, tradizionalmente, rappresentano l’albergatore sulla porta e il buon samaritano che si avvicina a lui portando il ferito, Bonnel rappresenta il Samaritano, visto di fronte, fermo sulla soglia dell’albergo, come se stesse aspettando il permesso di entrare. In questo modo la persona che guarda il quadro si trova al posto dell’albergatore e deve decidere cosa fare: richiudo la porta o accolgo?.
L’arte da sempre custodisce ed esprime la verità del tempo che assume necessariamente forme e modi diversi di raccontarsi. Oggi i cristiani paiono temere il linguaggio artistico. Il suo libro pare andare controcorrente…
Da quando, nel secolo scorso, gli artisti hanno abbandonato la figuratività per cercare strade nuove forme espressive, l’arte sacra è andata in crisi. In genere si limita a ripetere vecchi schemi, con risultati deludenti, sia sul piano strettamente artistico, sia quello dei significati proposti. C’è anche un filone artistico, il cui maestro è il teologo artista Marko Ivan Rupnik, che ha riscoperto l’arte delle antiche icone, ma certo la ricerca artistica non si può appiattire su una sola direzione. Non direi che i cristiani temono il linguaggio artistico, direi piuttosto che non lo possiedono più, sia a livello produttivo (del fare arte), sia a livello di fruizione (del guardare e capire l’arte). Dal momento in cui lo studio della storia dell’arte si è rarefatta nelle scuole, è diventato più difficile per molti amarla. Il mio libro fa parte di una piccola collana dell’editrice AVE che sì, va controcorrente, nella convinzione che – se le si presta un po’ di attenzione – l’arte ha molto da dire anche ai frettolosi uomini di oggi, e può essere un punto di partenza per elaborare proposte culturali e provocazioni di fede.