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Domenica 19 settembre

Domenica 19 settembre


XXIV domenica del tempo ordinario

(Mc 9, 30-37)

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

COMMENTO DI DON ALFREDO SCARATTI, ASSISTENTE SPIRITUALE DELLE ACLI DI BRESCIA

Chi è il più bravo, il più capace, il migliore tra noi? Sulla via che porta a Gerusalemme i Dodici: “… avevano discusso chi fosse il più grande”. Non importa che Gesù stesse parlando loro di cose assolute, di vita e di morte, della sua passione, morte e resurrezione. Loro non lo ascoltano neppure: sono tutti presi da un’ansia di protagonismo, da un delirio di onnipotenza, da un nascosto senso di superiorità. Piccoli uomini in carriera: si immaginano cose grandi per loro. Nei Dodici si esprime la mentalità che si diffonde ovunque: nel gruppo, nella parrocchia, sul posto di lavoro, nella finanza e nella politica, tra i ricchi e tra i poveri, tra i potenti e tra gli schiavi. Anche tra noi, anche sugli altari e nelle chiese: in gara a chi è primo, tutti ad ambire il seggio più alto: competere, primeggiare, imporsi: «chi è il più grande?». Gesù ci chiede di cosa stiamo parlando lungo la via. A quel protagonismo, a quella voglia di potere, che è principio di distruzione di ogni comunità, Ge­sù contrappone il suo mon­do nuovo:

«Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti».

Il primato, l’autorità secondo il Vangelo discende solo dal servizio.

Servire: verbo dolce e pauro­so insieme, evoca sforzo e sacrificio, croce e sofferenza, mentre il nostro verbo è prendere, accumu­­lare, comandare: non certo essere servi. Crediamo che più abbiamo, più siamo. Servire: è il verbo nuovo della storia, il nome segreto della civiltà. Servire senza limiti di gruppo, di famiglia, di etnia, di chi lo meriti o non lo meriti. Per Gesù una vita in pienezza passa solo attraverso il prendersi cura dell’altro.

Solo chi serve è grande.

Servo che ama il presente come una realtà da costruire, anche quando non è desiderabile e secondo i suoi gusti. Servo della vita per amore, servo libero e liberante, non schiavo. La mente dello schiavo è sempre da un’altra parte, è una mente rassegnata, ostile, in conflitto e in fuga. Così come per chi ha un ruolo sociale, amministrativo, politico, spirituale ma non è illuminato: la sua mente è distanziata dalla realtà per interessi personali, per avidità, competizione, presunzione, vanità. E per far comprendere lo stile del servizio: Gesù mette al centro non se stesso, ma il più inerme e disarmato, il più indifeso e senza diritti, il più debole, il più amato: un bambino! I bambini non sono più buoni degli adulti, sono anche egocentrici, impulsivi e istintivi, a volte persino spietati, ma sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore: si fidano totalmente. A chi è come loro appartiene il regno di Dio. E aggiunge: «Chi accoglie questi piccoli nel mio nome, accoglie me!». Indica il bambino come sua immagine. Dio come un bambino! Il Re dei re, il Creatore, l’Eterno in un bambino!

Accogliere un bambi­no è accogliere Dio. Se Dio è come un bambino significa che va protetto, accudito, nutrito, aiutato, accolto (E. Hillesum).

Accogliere: ancora un verbo che esprime Dio, che Dio sogna e realizza continuamente per generare l’umanità nuova. Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l’accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i confini d’Europa, sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, i piccoli, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso. La strada più breve per arrivare a Dio passerà sempre dunque dal fratello; Saranno sempre gli altri a salvarci o dannarci, secondo la relazione che intessiamo con loro.

 

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