Dallo sport una lezione per l’accoglienza e l’integrazione
C’era ancora nei nostri occhi la visione dello Stadio di S.Siro stracolmo di cresimandi, catechisti, genitori e familiari, in festa con canti, cori e coreografie sugli spalti diventati di color arcobaleno, per accogliere Papa Francesco, in missione a Milano, che aveva invitato i ragazzi “cresciuti in oratorio” a “non fare mai atti di bullismo”, ma a giocare con gli amici e far squadra insieme, perché “quando il gioco è pulito si impara a rispettare gli altri”.
Poi alla fine del Campionato di calcio e con le squadre ambrosiane del Milan e dell’Inter “made in China”, da anni ormai non più sui gradini del podio, che è invece della Juventus, con Napoli e Roma in alternanza, le “luci a S.Siro” si erano spente in attesa della prossima campagna acquisti milionaria per alimentare la nuova stagione dei “professionisti del pallone” e del tifo calcistico.
Ma spesso i “miracoli non si fanno attendere”, se in una splendida giornata di sole, lo Stadio è riuscito a far riaprire in anticipo i sui cancelli per accogliere i “dilettanti del pallone”, dai più piccoli agli anziani combattenti e reduci di una passione che non si può estinguere col passare degli anni.
L’iniziativa ha coinvolto le Società di promozione dello sport degli Oratori e delle Associazioni, dei quartieri e dei Municipi, delle Comunità etniche e dei Comuni dell’hinterland, con l’Unione sportiva delle Acli in particolare evidenza non soltanto per il coinvolgimento nell’attività fisica di “persone di ogni età e condizione”, ma anche per l’organizzazione dell’evento, oltre che per la emblematica targa dell’US Acli DAY appesa alla copertura reticolata dello Stadio e per gli striscioni “pubblicitari” che delimitavano i confini del campo.
Lo spettacolo che si osservava, dal parterre e dalle tribune, era scandito da interminabili fischi di inizio e fine partita, che coinvolgevano le varie squadre dei ragazzi scesi contemporaneamente a sfidarsi nei diversi campetti, adiacenti e ricavati dividendo in rettangoli il terreno di gioco del tradizionale campionato di calcio, alfine di poter far giocare tutti, anche se purtroppo in tempi limitati.
E’ stata una grande festa di colori e azioni, di dribbling e tiri in porta, di parate e goal!, con abbracci e giri del campo, come si vede in tv, fra grida di entusiasmo, ma anche con gesti di delusione, oltre alle esortazioni degli allenatori, dei familiari e dei sostenitori, che si immaginavano già di aver partorito i futuri campioni per gli applausi delle grandi folle degli stadi e le notizie trasmesse dai mass media.
Se si valutavano con maggiore attenzione le diverse fasi dei giochi, si poteva constatare l’impegno generoso e l’abilità dei ragazzi in campo, con la gioia di vivere in amicizia con i compagni e in naturale conflitto con gli avversari, senza intenzionali atti di violenza negli scontri inevitabili, in un clima di autogestione delle partite che venivano giocate senza la presenza dell’arbitro in campo.
L’aspetto più evidente dell’iniziativa dell’Us Acli Day, approdata ormai alla quinta edizione, emerge nel tempo dal processo di socializzazione che si sviluppa spontaneamente, nei vari ambienti di lavoro e di vita, negli oratori e nei quartieri, quando si organizzano le attività delle varie discipline sportive, con il superamento delle barriere ideologiche e generazionali, delle disabilità, delle differenze etniche e linguistiche, verso una pratica sportiva diffusa, aperta alla competizione amichevole e alla promozione della salute.
La interminabile giornata dello sport popolare e dilettantistico allo Stadio di S.Siro, che è poi continuata anche nelle serate dei giorni successivi per le partite degli adulti, ha coinvolto anche molte famiglie e comunità di cittadini stranieri immigrati in Italia con i loro figli, quasi tutti nati a Milano e in città italiane, ma ancora purtroppo in attesa di ottenere la cittadinanza.
Al termine delle molte partite, giocate con impegno “professionale”, l’alternarsi delle 90 squadre con oltre 1100 atleti in campo, metteva in risalto le diverse identità sportive, locali o etniche delle varie nazioni, che venivano naturalmente immortalate con le inevitabili foto e con i filmati amatoriali dei giocatori e dei familiari, in un clima di condivisione, che speriamo non si dissolva, varcati i cancelli dello Stadio, per la complessità delle relazioni della società interculturale che ci avvolge.
L’attività sportiva delle Acli, molto diffusa nei Circoli, nelle Parrocchie, nei Municipi della città e nei Comuni, rivolta ai bambini, ai giovani e agli adulti, con l’obiettivo di coinvolgerli nella costruzione di una comunità accogliente e solidale, è un investimento che si inserisce nel filone del “bene comune” e dell’azione sociale per “abbattere muri e costruire ponti”.
Giovanni Garuti