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Conflitti e migrazioni nel millennio della rivoluzione digitale

Conflitti e migrazioni nel millennio della rivoluzione digitale

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Articolo di Giovanni Garuti

Fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile di tutti i Paesi del mondo, sviluppati o emergenti, c’è la sconfitta della povertà e della fame, la salute e il benessere, la lotta contro i cambiamenti climatici, al fine di creare città e comunità inclusive con l’innovazione, l’industrializzazione, la riduzione delle disuguaglianze, nella pace e giustizia.

Si tratta di un insieme di progetti irrinunciabili, ma non facilmente raggiungibili dappertutto, se si tiene conto degli squilibri economici e sociali generati nel corso dei secoli, a causa di fenomeni naturali, di conquiste e dominazioni, di sfruttamento delle risorse e degli abitanti, del colonialismo e delle guerre che hanno determinato spostamenti ininterrotti di persone e popoli alla ricerca di una vita degna di essere vissuta.

Esodi di massa e mescolanze di etnie religioni e culture, che si stanno ampliando nel nuovo secolo, in relazione anche alla inarrestabile rivoluzione delle comunicazioni planetarie che alimentano una fruizione universale delle conoscenze, oltre che alle conseguenze della “terza guerra mondiale a pezzi” che sconvolge le città, con migliaia di vittime innocenti e di sfollati alla ricerca di una salvezza spesso difficilmente realizzabile.

La questione delle migrazioni deve dunque tener conto di una millenaria storia  di drammatica attualità che stiamo ereditando, con la conseguenza del dovere della solidarietà, da affrontare nella contemporaneità, per fronteggiare una emergenza ormai strutturale, non gestibile soltanto ipocritamente con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, per negare poi ogni coinvolgimento personale e umanitario a casa nostra.

Il convegno delle Acli, che si è svolto in occasione della presentazione della campagna “Welcoming Europe”, per la raccolta di firme finalizzate a salvare le vite e accogliere i rifugiati, ha evidenziato l’urgenza di cambiare mentalità nell’affrontare una realtà inaspettata che ci rimanda tuttavia alla memoria delle migrazioni italiane, nel continente e in altri mondi, dove abbiamo conquistato, con il lavoro e la condivisione, traguardi di uguaglianza e cittadinanza.

Gli attuali orientamenti governativi, danno invece l’impressione di voler provocare, nell’opinione pubblica, sentimenti di paura e di ostilità verso gli stranieri, già presenti nel nostro territorio, che hanno ottenuto permessi di soggiorno regolari o sono in attesa del riconoscimento del diritto di asilo, come previsto dalla Costituzione a chi viene impedito in patria l’esercizio delle libertà.

Se l’Africa e il vicino Oriente sono la “continuazione dell’Europa”, il Mediterraneo deve tornare ad essere luogo di naviganti che hanno rapporti di vicinanza e non trasformarsi in una frontiera invalicabile, con porti chiusi e cinici respingimenti, senza protezione in mare alle persone a rischio della vita per aver tentato di fuggire da situazioni insostenibili di conflitti e povertà, con l’aggravante della violazione del diritto internazionale.

Dopo la relazione di Antonio Russo, la presentazione del libro  di Duccio Faccini sui Migranti alla deriva e sul ruolo svolto dalle Organizzazioni non governative nell’azione di intercettazione della imbarcazioni sovraffollate e in pericolo di naufragio, ha fatto emergere il tentativo di colpevolizzare i soccorritori, in assenza di interventi delle istituzioni europee, insensibili al “grido di dolore” dei profughi e delle persone in fuga da violenze e guerre civili, spesso alimentate da rivalità etniche e religiose.

Il seminario a più voci su “La casa è comune”, promosso dal comitato cittadino “Insieme senza muri”, con la partecipazione del presidente delle Acli, Paolo Petracca, ha centrato l’attenzione sull’integrazione e sulla coesione sociale, fra il dovere dell’aiuto disinteressato e il rispetto dei diritti umani, per sconfiggere le disuguaglianze e la povertà, senza aver paura dell’altro, della diversità.

Da don Ciotti a don Colmegna, da Manconi alla Bonino e alla Toia, accanto ad altri testimoni sul campo dell’accoglienza e dell’inclusione, si sono intrecciate le riflessioni sul degrado delle parole e sui pregiudizi, che impediscono di affrontare le fragilità e le solitudini, con la perdita dei legami sociali e della disponibilità a condividere la vita concreta delle persone approdate nelle nostra comunità con la speranza di incontrare una società solidale.

Emarginazione e ingiustizie, alimentano fratture e rancori, intolleranze e ostilità, in una realtà plurale che deve essere vissuta con proposte e soluzioni di convivenza, per superare la clandestinità e l’insicurezza dei migranti, in relazione ad una legislazione che colpevolizza e rende difficili i percorsi di integrazione e inclusione  nell’attività lavorativa e nella vita cittadina.

Il dovere del “pronto soccorso”, del salvataggio e del sostegno delle persone in difficoltà, è il fondamento della storia umana e non può quindi essere impedito o limitato da provvedimenti più legati alla ricerca del consenso elettorale, che ai principi della solidarietà cristiana e umana indispensabili al superamento della xenofobia e delle tentazioni nazionaliste.

E’ in gioco la democrazia con i progetti di un società chiusa e autarchica che vuole negare i diritti alle minoranze e ai diversi, con i centri di detenzione e di espulsione, con i rimpatri forzati, senza mediazioni con gli interlocutori sociali e del volontariato che si fanno carico delle contraddizioni che stiamo vivendo.

Molti sono ancora i problemi da affrontare per instaurare i rapporti di buon vicinato con i Paesi dei migranti, per la regolamentazione dei flussi, per una accoglienza fondata sui diritti di cittadinanza e sull’inclusione, ma intanto è indispensabile farsi prossimo in un’epoca di grande mobilità, alimentata dalla mondializzazione delle conoscenze e della comunicazione che abbatte i muri e i confini nell’orizzonte di una umanità con i colori dell’arcobaleno.    

Giovanni Garuti

 

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