A Firenze nessuna fatalità né errore umano: il crollo è colpa di un sistema criminale
Magüt sono chiamati in Lombardia i muratori cottimisti che si alzano alle tre del mattino per salire sui furgoni che li portano nei cantieri edili. Tanti magüt partivano dalle province di Brescia e Bergamo perché queste erano le prime terre di lavoro del Nord. Succede ancora, ma oggi sono in gran parte migranti coloro che partono all’alba dalle stesse province.
Dei cinque operai uccisi a Firenze nel crollo del cantiere della Esselunga (già sotto inchiesta a Milano per evasione fiscale nel mondo degli appalti), tre erano marocchini, uno tunisino. Tutti risiedevano a Palazzolo, tra Brescia e Bergamo. I tre feriti sono rumeni e l’ultimo ucciso è un operaio sessantenne proveniente dal Mezzogiorno d’Italia.
La strage di Firenze è una immagine e un concentrato di tutte le ingiustizie e della criminalità economica che uccidono migliaia di operai ogni anno in Italia. Il crollo del cantiere addosso a chi ci lavorava sembra uscire da un film di Dymitryk del 1949, Cristo tra i muratori, dove Geremia, migrante italiano nell’America di cento anni fa, moriva sotto le mura della casa che costruiva.
Dopo un secolo in Italia si viene uccisi allo stesso modo e si sente dire che potrebbe essere per un errore umano. Come se oggi non ci fossero tutti i mezzi tecnologici e organizzativi per prevenire gli errori umani. L’errore umano non esiste, esiste la criminalità omicida dello sfruttamento e dello schiavismo.
Dalle ultime notizie pare che la trave che è crollata sugli operai non fosse ancora fissata, ma che i muratori avessero lo stesso cominciato a versare il cemento, perché? Perché erano di una impresa diversa da quella che fissa le travi, e tra le due imprese d’appalto evidentemente non ci sono state comunicazioni.
La frantumazione delle attività di un cantiere in tante microimprese, tra loro in competizione al ribasso sui costi, e la mancanza di coordinamento tra di esse non sono errori, sono un modello organizzativo criminale che ha il solo scopo del massimo profitto. Tutte le leggi in questi anni hanno reso più facile ed agevole appalto e subappalto fino all’ultimo decreto del governo che li liberalizza ancora, nel nome di quel “non disturbare il fare”. E poi l’assenza di controlli ha permesso che anche queste leggi fossero ignorate, non solo nei cantieri, ma ovunque. È un semplice calcolo delle probabilità quello che fanno gli imprenditori: se su decine migliaia di imprese solo qualche centinaio viene controllato, conviene far lavorare come cento anni fa: sono soldi in più. Certo poi accade la strage, ma tutti gli altri possono continuare come prima, è la legge del capitalismo, mors tua vita mea.
Che potere hanno i lavoratori di pretendere di lavorare in sicurezza? Potevano gli operai del cantiere di Firenze fermarsi e pretendere di verificare se la trave sopra di loro fosse a posto? Ma quando mai, per avere il diritto di fermarsi per salvare la propria vita bisognerebbe avere un posto fisso, sicuro, tutelato dalla minaccia del licenziamento. Proprio chi fa i lavori più duri dovrebbe avere i contratti più forti, invece è esattamente il contrario. Tutte le leggi sul lavoro hanno distrutto il diritto del lavoratore a dire no alle condizioni di rischio, estendendo la precarietà. Non ti va di lavorare così? Quella è la porta. Così nell’organizzazione del lavoro il diritto è stato sostituito dal ricatto.
E il massimo del ricatto lo subiscono i lavoratori migranti, per i quali esso diviene doppio: non solo la minaccia di licenziamento, ma quella della clandestinità. Il padrone, grazie alla Bossi-Fini, non solo può cacciare il migrante rompiscatole, ma può togliergli il permesso di soggiorno, che nella sostanza è stato privatizzato. Così il caporalato diventa legge.
In Italia i cantieri edili, gli allevamenti nelle stalle, la coltivazione nei campi, la logistica, la metallurgia, la cantieristica navale, la ristorazione, il turismo, si fermerebbero senza il lavoro dei migranti. Che oramai vengono indirizzati per specializzazioni legate alla provenienza. I nordafricani con il mattone, gli indiani con le mucche, i bengalesi e i pakistani nei magazzini, i senegalesi e gli ivoriani nei campi. L’Italia si fermerebbe senza il lavoro dei migranti, ma questo lavoro è oppresso dal doppio ricatto della precarietà e dello schiavismo razzista. E anche qui lo Stato o è direttamente colpevole con le sue leggi, o è complice con la sua assenza.
Infine l’operaio italiano morto aveva sessant’anni: si alza sempre di più l’età delle vittime del lavoro e anche questo è il risultato di leggi, quelle che hanno abolito nei fatti le pensioni di anzianità, di cui usufruivano soprattutto gli operai sottoposti ai lavori più faticosi.
Insomma la strage di Firenze non è una tragica fatalità, né tantomeno l’effetto di un errore umano, ma il prodotto di un sistema criminale dove lo schiavismo e il disprezzo della vita dei lavoratori sono diventati legge. La legge che impone come priorità la riduzione del costo del lavoro.